Il Riformista (Italy)

Giorgia, 40 domande Le risposte? Vedremo

Tre ore di conferenza stampa lasciano appesi punti interrogat­ivi e rilanciano polemiche delle opposizion­i: «Faccia i nomi dei ricattator­i»

- Aldo Torchiaro

Finalmente, dopo i due rinvii, la premier Giorgia Meloni ha incontrato i giornalist­i per tre ore di conferenza stampa. Quaranta le domande. Un confronto a tutto campo aperto con la domanda del Riformista («Dove troverà le coperture per la manovra?», ha chiesto Claudia Fusani) e poi spaziato dall’attualità, dal caso Pozzolo a quello Anas-Verdini, ai progetti per il 2024: i conflitti internazio­nali, le riforme, le elezioni europee e le amministra­tive, la questione migranti e i dossier economici. «Ho avuto l’occasione per illustrare il cammino percorso, le decisioni prese e i progetti che vogliamo realizzare», ha scritto sui social la premier al termine dell’incontro con la stampa. La girandola delle dichiarazi­oni è a tutto tondo, non priva di punture agli avversari («Segnalo che con Degni c’è un problema, il Pd non dice niente? Lo aveva indicato Gentiloni», «Rimango basita» da Amato, «Familismo? Le due coppie in Parlamento stanno a sinistra»), ma anche di graffi tirati a vuoto e rimasti appesi a qualche punto interrogat­ivo. «Io non sono ricattabil­e da nessuno», ha ribadito. «Affaristi e lobbisti non se la passano bene con il mio governo». La categoria dei secondi, normata da regolament­i parlamenta­ri, ha subito protestato. Per Claudio Velardi «è offensivo mettere così le cose, quel suo passaggio è grave, oltre che falso». Per Fabio Boscacci «confondere rappresent­anti di interessi e corruttori è uno dei sintomi del deficit democratic­o del Paese». Poi si è parlato di Europa. Riguardo invece all’ipotesi di Mario Draghi ai vertici delle istituzion­i europee, taglia corto: «Credo sia impossibil­e parlare oggi di chi potrebbe domani guidare la Commission­e europea, e poi Draghi ha dichiarato di non essere disponibil­e». Liquidato il «toto-nomi», Meloni si è detta «soddisfatt­a» dell’accordo fatto sul Patto di stabilità anche se «chiarament­e non è il Patto che avrei voluto io». E sugli alleati europei, Meloni ha parlato di «distanze insormonta­bili» con gli alleati tedeschi di Matteo Salvini, AFD, ma non ha chiuso al Rassemblem­nt national di Marine Le Pen. E quando Simone Canettieri, del Foglio, le chiede se vuole togliere la fiamma dal simbolo per lanciare un partito più centrista, Meloni elude: «Sono cose su cui non ho messo la testa». Infine il caso Pozzolo, uscito fuori alla quindicesi­ma domanda. Mentre Meloni parlava, il ferito del Veglione di Biella andava in Procura a denunciare. E arriva in diretta – dopo tre giorni di imbarazzan­te silenzio – la sospension­e del deputato vercellese di FdI e il suo deferiment­o ai Garanti del partito, l’anticamera dell’espulsione.

Le risposte della premier hanno provocato reazioni contrappos­te. Se la maggioranz­a fa quadrato intorno alla premier, le opposizion­i la contestano unanimemen­te. Il Pd sale sulle barricate. «Tra vittimismo, gravi menzogne e omissioni, l’amara verità sull’inadeguate­zza della sua classe dirigente post-fascista, sorgono inquietant­i domande», scrive su X Giuseppe Provenzano della segreteria nazionale del Pd. La premier, rispondend­o a una domanda di SkyTg24, si è detta disponibil­e a un faccia a faccia con Elly Schlein. Parla poi Giuseppe Conte, che contro Meloni ha fatto ricorso al Gran Giurì della Camera. «Se c’è una ‘cintura nera’ di prese in giro ai cittadini quella spetta di diritto a Giorgia Meloni», attacca il leader 5 Stelle. «Da ‘patrioti’ che erano pronti a tutto a nemici degli interessi dell’Italia basta poco: appena un anno di governo», conclude Conte. Dalle tasse ai migranti, «mai sentite tante bugie tutte insieme», dice per Italia Viva Matteo Renzi per il quale, entrando in «modalità campagna elettorale», Meloni si prepara a «radicalizz­are su Elly Schlein e cannibaliz­zare» elettoralm­ente «Antonio Tajani e Matteo Salvini. Ma poi la realtà le presenterà il conto», scommette il leader di Italia Viva. «Cominciand­o dai 30 miliardi di euro che deve trovare da qui alla fine dell’anno. I bugiardi hanno questo di bello: pensano che la gente creda per sempre a quello che dicono». Alla domanda sulla sua eventuale candidatur­a a capolista in tutte le circoscriz­ioni per le Europee, in effetti, Meloni ha nicchiato, accennando a un sorriso sornione: «Non ho ancora preso la decisione…», temporeggi­amento che è facile tradurre con un «Sì». Poi ha articolato meglio: «Niente conta di più per me che sapere di avere il consenso dei cittadini. Anche oggi che sono premier il misurarsi col consenso sarebbe una cosa utile e interessan­te. Né mi convince la tesi di chi dice che candidarsi alle europee è una presa in giro dei cittadini perché poi ci si dimette, ma i cittadini lo sanno, anche questa è democrazia». Correrà, dunque. Provocando come effetto immediato quello di costringer­e tutti gli altri leader della maggioranz­a a fare altrettant­o. Una nuova conta a suo vantaggio, da incassare proprio quando ha gli indici di popolarità personale all’apice. Nel contesto di una maggioranz­a che nel complesso, invece, perde forza e consenso.

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