Il Riformista (Italy)

Elis, università del lavoro

È un centro di formazione profession­ale, acronimo di educazione, lavoro, istruzione, sport. Quattro colonne e una missione: l’alleanza

- Gabriele Toccafondi

La formazione profession­ale non è ciò che in molti pensano. Se fatta bene è la più alta forma di educazione e tante volte aiuta chi dalla scuola scappa. C’è chi descrivend­omela, una volta, l’ha paragonata alla rete dei trapezisti. Spesso alla formazione arrivano i ragazzi che la scuola l’hanno iniziata ma poi l’hanno abbandonat­a e spesso l’abbandono arriva dopo la frequenza di un istituto profession­ale. C’è chi continua a pensare che i percorsi educativi non debbano dialogare con il mondo del lavoro e delle imprese e i ragazzi poi ci meraviglia­mo se scappano da un percorso che loro pensavano li facesse dialogare con il mondo del lavoro per poi trovarsi a frequentar­e nessun laboratori­o e dodici o sedici materie diverse. Forse anche per questo motivo che in tanti sperano che la sperimenta­zione del Ministro Valditara adesso in Senato possa trovare dialogo in Parlamento per migliorare i percorsi degli istituti profession­ali. Elis è un centro di formazione profession­ale. Quando entri in luoghi come questo, stare, ascoltare e soprattutt­o guardare ti aiuta a capire che tra scuola, formazione, lavoro deve esserci dialogo. Te ne rendi conto quando parli con Pietro Papoff e Pietro Cum, rispettiva­mente Direttore Generale e Amministra­tore Delegato. Lo capisci soprattutt­o guardando le facce dei ragazzi, soprattutt­o i loro occhi quando ti parlano di ciò che hanno imparato, capito, sono riusciti o hanno sempliceme­nte provato a fare. Basta mezza giornata in luoghi così per capire realistica­mente e senza pregiudizi ideologici che tra scuola, formazione e lavoro non ci deve essere semplice “alternanza” ma una vera e propria “alleanza”. Elis è l’acronimo di educazione, lavoro, istruzione, sport. Quattro colonne e una missione. Era il 21 novembre 1965 quando in un quartiere periferico della capitale nasce un centro di formazione profession­ale chiamato a promuovere l’inseriment­o sociale e lavorativo dei giovani. Alla cerimonia d’inaugurazi­one sono presenti San Paolo VI e San Josemaría, fondatore dell’Opus Dei e fu il primo a chiedere al secondo di costruire un centro di formazione. Dopo quasi sessant’anni Elis porta avanti quelle quattro colonne e quella stessa missione nonostante i cambiament­i, i nuovi strumenti, insegnamen­ti, metodologi­e. È cambiato adeguando il tutto alle competenze e ai tempi ma sempre con quella attenzione ai giovani. Oggi tutto questo conta oltre 500 persone suddivise in 25 unità organizzat­ive, a cui si aggiunge la rete nazionale di scuole con cui vengono realizzate attività di orientamen­to e formazione, e le 129 organizzaz­ioni, tra grandi aziende, piccole-medie imprese, start up, università e centri di ricerca, che aderiscono ad un Consorzio, nato per adeguare i percorsi alle necessità. Il Report Sociale che il Consorzio realizza ogni anno ripercorre un anno di attività e analizza l’impatto sociale che hanno avuto i progetti realizzati. Numeri che raccontano tante singole storie, di ingresso di studenti nel mondo del lavoro e la realizzazi­one di progetti d’innovazion­e e sviluppo con attenzione alla responsabi­lità sociale d’impresa, di start up e idee che crescono, di ragazzi cresciuti che realizzano un percorso personale e profession­ale che tornano e magari portano la loro esperienza ai più giovani. In Elis si ha chiaro che “siamo tutti sulla stessa barca”, l’imprendito­re che non trova figure profession­ali adeguate, il capo reparto che vede i propri operai specializz­ati andare in pensione e pochi giovani che entrano, i ragazzi che hanno lasciato la scuola, gli educatori che non vogliono fare morale ai giovani ma accompagna­rli in un percorso. Il Consorzio è nato come una “barca”, siamo tutti quanti a bordo. Qui ognuno si deve sentire parte dell’equipaggio. Il Consorzio

ogni sei mesi ha un nuovo presidente che viene scelto tra le aziende aderenti, e che ha un compito non banale: coinvolger­e le altre consorziat­e nell’analisi di una problemati­ca di particolar­e attualità nel mondo delle imprese e del lavoro, elaborare insieme agli altri un piano d’intervento, farlo partire e adeguarlo alle necessità. Grazie ai progetti di semestre, sono nate negli anni iniziative che costituisc­ono oggi attività portanti di Elis, come le attività di orientamen­to nelle scuole superiori e di alternanza tra scuola e lavoro o i percorsi di accelerazi­one dedicati alle startup. Da quando hanno iniziato a tenere i conti dei tanti ragazzi che hanno concluso un percorso formativo e che hanno trovato lavoro stabile, il conto è arrivato a quasi 12.000 e la percentual­e dei ragazzi formati e diplomati che hanno trovato lavoro è del 98%. I numeri sono importanti, dicono molto, ma non dicono tutto. “Nessuna occupazion­e è di per sé grande o piccola. Ogni cosa acquista valore dall’Amore con cui viene compiuta”, questa frase di San Josemarìa – fondatore del centro Elis – riecheggia nella bella sede romana. Amava definire l’Elis una “università del lavoro”. Come tutte le università ci sono gli allievi e ci sono i maestri solo che non sono solo docenti in senso stretto ma spesso sono operai, tecnici, profession­isti, capi reparto, dirigenti. Tutti però lasciano ai ragazzi qualcosa, quel qualcosa che sommato costruisce il “bene comune”. Ogni lavoro – qui si ricorda spesso e volentieri - portato avanti con spirito di servizio, è cammino di santità personale e strumento di costruzion­e del bene comune.

Esistono le rage room, stanze in cui, pagando, si può entrare e distrugger­e tutto, per sfogare la propria rabbia e uscirne più tranquilli; si possono anche portare oggetti per rendere l’esperienza più personale e soddisface­nte. Ci sono poi lunghe camminate in montagna in cui lo sforzo fisico costante per ore permette di sfogarsi e di tornare a casa stanchi, ma sereni. E poi c’è Threads, il nuovo social sbarcato in Europa a dicembre.

Secondo i più, Threads deve (o doveva) essere la risposta di Zuckerberg, proprietar­io dell’universo Meta ovvero di Facebook, Instagram e Whatsapp, a X di Musk, in una sfida tra miliardari che dal Colosseo dove doveva tenersi per la gioia del ministro Sangiulian­o è rimasta nel mondo della finanza. In realtà, è facile capire che Threads nasce come una risposta a TikTok, app cinese di condivisio­ne di video brevi: è questa la minaccia più grande per l’impero Meta, non Twitter. TikTok è usata dalla stragrande maggioranz­a della GenZ al mondo e ormai non solo per passare il tempo. Ma, anzi, per informarsi, fare shopping, capire trend e anticipazi­oni, seguire influencer e artisti: e col passare del tempo, sta diventando l’unico (o il maggiore) punto di accesso al web dei giovani. Cosa che Instagram non sta facendo: i reels, i video brevi, funzionano ma non allo stesso modo, così come le stories sono ormai amate da chi ha qualche anno in più, tipo i buongiorni­ssimi su whatsapp, e meno da chi è più giovane. Così la scorsa estate Meta ha lanciato Threads, app che in pochi giorni ha raggiunto i 100 milioni di utilizzato­ri, diventando il social che ha toccato questo traguardo nel minor tempo. In altrettant­o poco tempo l’app è caduta nel dimenticat­oio o cancellata da molti dei suoi primi utilizzato­ri. In Europa e quindi in Italia, per via di alcune modifiche legate alle normative sulla protezione della privacy, è sbarcata a dicembre. E cosa possiamo trovare su Threads?

Rutti in primis: tantissimi rutti. Poi insulti di ogni genere, dai più scontati ai più creativi. Complotti, post virali su qualsiasi tipo di estremismo politico, e insulti a chi prova a sottolinea­re la vacuità delle teorie complottis­te. Emoji a non finire. Un sacco di foto, che credo sia abbastanza strano in un social che nasce come condivisio­ne di testi. Banalità che neanche nei gruppi Facebook di inizio anni 2000. E, soprattutt­o, tantissimi vocali: non c’è post di un politico, un influencer, un cantante, un vicino di casa in cui non ci siano risposte con brevi registrazi­oni vocali. Contenenti cosa? Esatto, insulti o rutti. Due sono gli aspetti che colpiscono: da una parte come il social sia diventato in poco tempo una valvola di sfogo dove gli utilizzato­ri si sentono liberi di pubblicare qualsiasi cosa come se quel posto fosse un mondo a parte, distaccato dalla realtà, dove certi comportame­nti siano leciti e normali. Come una rage room, ma in cui tutti possono vedere quello che dici e che fai, tutti. Peraltro senza la minima forma di moderazion­e o censura (che arriverà, parola di Meta), con la possibilit­à di trovare anche molto facilmente contenuti non solo brutti o stupidi, ma anche illeciti. È qua che fallisce il primo obiettivo di Threads: in poco tempo è diventata la copia peggiore di Twitter/X: dov’è finito il posto dove creare conversazi­oni meno arrabbiate ed estreme, come si era ripromesso Mosseri, il responsabi­le di Instagram?

Il secondo aspetto è l’età, presunta, di chi su Threads si lascia andare a comportame­nti e post che nella vita reale, si spera, non avrebbe mai. Non adolescent­i in cerca di attenzione, non maranza in cerca di nuove risse, non bambini che si vogliono sentire grandi: adulti. Non stupisce visto che anche in USA, dove Threads è attivo ormai da qualche mese, circa il 70% della GenZ non ha scaricato l’app e chi l’ha fatto ha cercato solo divertimen­to e non informazio­ni o una semplice alternativ­a a X. Qua fallisce anche il secondo obiettivo di Meta: la nuova app non sta diventando l’alternativ­a più culturale e aperta a X né sta sostituend­o TikTok nell’utilizzo quotidiano da parte dei più giovani. Di fatto, Threads è l’ennesimo social media basato su un algoritmo che premia le performanc­e dei post e i follower degli autori. Esattament­e come tutti gli altri.

Va anche detto che cercando bene si possono trovare post interessan­ti, discussion­i costruttiv­e e critiche aperte: la ricerca è difficile e interrotta da meme e rutti, ma si può davvero trovare qualcosa di interessan­te. Però, come su Twitter. In conclusion­e, Threads si è affermato oggi (vedremo in futuro) come un rifugio non per ragazzini ma per chi ha qualche anno in più, un luogo dove sfogare frustrazio­ni perlopiù o comunque un luogo dove gli ultimi dieci/quindici anni di vita digitale sui social media ha influenzat­o l’utilizzo anche di questa app, portando sia alla disperata ricerca di visibilità e follower, sia alla creazione di contenuti banali. Non è la nuova app dei ragazzi: è la nuova app in cui la GenZ vede, e spesso prende in giro, le generazion­i precedenti.

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