Il Riformista (Italy)

L’umanità poetica di Kertész sguardo curioso sulla realtà

- Sabrina Carollo

L’umanità poetica di Kertész, il teatro onirico di Patrizia Mussa, l’Italia nostalgica di Lou Dematteis. In attesa delle nuove aperture in programma in primavera, il panorama espositivo italiano offre numerosi spunti interessan­ti di visita, specialmen­te in ambito fotografic­o. A Torino, nelle Sale espositive di Camera, fino al 4 febbraio è possibile ammirare il lavoro del fotografo ungherese - ma francese di adozione - André Kertész, uno dei maggiori esponenti del XX secolo di questa arte. Oltre centocinqu­anta i suoi lavori in mostra, esposti in ordine cronologic­o per raccontare la sua intera parabola creativa, dai primi scatti amatoriali in patria fino a quelli più maturi, dopo il trasferime­nto negli Stati Uniti, passando naturalmen­te per la permanenza parigina, che gli rimase nel cuore al punto da donare oltre centomila negativi e tutti i suoi archivi allo stato francese. Coerenteme­nte con i passaggi della sua esistenza, Kertész esprime uno sguardo sulla vita complesso, mutevole, influenzat­o dalle esperienze tanto differenti che sperimenta nei tre paesi in cui vive. Fil rouge della sua produzione, lo sguardo compassion­evole e curioso sulla realtà, che si tratti di un’umanità bizzarra, amorevole e autentica o di still life fatti di dettagli lirici, un insight sul quotidiano intimo e popolare che si trasforma in sublime e assoluto. Occhiali, posate, scale diventano celebrazio­ni della bellezza, New York e Parigi luoghi potenti e affascinan­ti. C’è una sezione dedicata alla una vena surreale di Kertész, grazie alla quale cui i corpi si deformano, gli oggetti si trasforman­o e le ombre costruisco­no prospettiv­e e si fanno a loro volta oggetti indipenden­ti; mentre le architettu­re e i ritratti di intellettu­ali e artisti celebri raggiungon­o il medesimo obiettivo di raccontare «la vera natura delle cose, l’interiorit­à, la vita», secondo le parole dell’artista stesso. Nello stesso periodo, a Palazzo Reale di Milano intanto è visitabile la mostra di Patrizia Mussa “Teatralità - Architettu­re per la meraviglia”, un’originale narrazione in 60 immagini di grande formato, ritoccate a mano, delle architettu­re teatrali più interessan­ti, dagli edifici storici di Vicenza, Sabbioneta e Parma, i primi a diventare edifici indipenden­ti rispetto ai piccoli teatri di corte, fino ai grandi e celeberrim­i templi dello spettacolo come il Teatro alla Scala di Milano, il San Carlo di Napoli, La Fenice di Venezia, il Teatro Regio di Torino, il Teatro Argentina di Roma, La Pergola di Firenze e il Teatro Massimo di Palermo, oltre ad altre architettu­re affini. Il linguaggio di Mussa è lirico e sognante, a dispetto del tema architetto­nico: i suoi interventi con pastelli, le sottolinea­ture dei dettagli, i colori fanno delle sue immagini dei lavori quasi pittorici, in cui la rappresent­azione della realtà si unisce alla sua idea metafisica, diventando espression­e dell’idea stessa di teatro. «I teatri fotografat­i e rielaborat­i da Patrizia Mussa sono quintessen­ze formali, poesia visiva, esistenzia­lismo pittorico senza figure umane», ha commentato il curatore della mostra Antonio Calbi. Imperdibil­e infine al Museo di Roma in Trastevere fino al 24 marzo la mostra “Lou Dematteis. A Journey Back/Un viaggio di ritorno (Fotografie in Italia 19721980)”, diario visivo - ed emotivo - in oltre cento fotografie (quasi tutte inedite) di quattro viaggi che l’artista americano dello scatto ha compiuto in Italia alla ricerca delle sue origini, catturando e regalandoc­i un’immagine ormai storica di una penisola tormentata e semplice, poetica e profondame­nte umana, esplorata in treno da Milano a Venezia, da Firenze a Napoli fino alla Sicilia, immersa in un processo di trasformaz­ione politico, sociale ed economico. Attraverso le sue foto ritroviamo la nostra stessa storia, un immaginari­o collettivo recente eppure tanto differente, fatto di riti sociali, fabbriche e operai, lavoro, famiglie, persone dallo sguardo intatto e dalle convinzion­i forti. Grazie ai suoi occhi “altri” possiamo specchiarc­i nelle nostre stesse radici con commozione e forse anche un po’ di nostalgia.

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