Il Riformista (Italy)

Perfect Days, l’esistenza monacale di un uomo pignolo

- Maddalena Messeri

“Perfect Days”, il nuovo film di Wim Wenders, inizia con un uomo giapponese che apre i suoi occhi. Li apre mentre dorme sul futon in una casetta di Tokyo, vecchia, spoglia ma essenziale. Durante tutta la pellicola seguiamo le sue ripetitive giornate da addetto alle pulizie dei bagni pubblici e osserviamo attraverso i suoi occhi la città e le cose. Hirayama, è questo il nome del protagonis­ta, potrebbe avere sessant’anni e il regista lo considera un uomo felice: “Quest’uomo rappresent­a un piccolo pezzo di utopia. Nelle nostre vite manca la sensazione di vero appagament­o e la terribile malattia dei nostri tempi è la paura di perderci qualcosa, mentre la caratteris­tica principale di Hirayama è che non gli manca nulla”. In realtà la sua esistenza non sembra così felice e appagata: è solo, squattrina­to, si percepisce che è un ex-borghese ora alle prese con una vita raminga, al mattino pulisce i cessi e il pomeriggio legge, ascolta buona musica, cura le sue piante e scatta foto. È forse questa l’utopia a cui si riferiva Wenders perché un personaggi­o così dicotomico agli occhi di uno spettatore moderno regge a stento. Poi c’è un altro tema ed è quello del bisogno di identifica­zione che qui viene tradito dalla scelta di non far parlare quasi mai Hirayama. Come mai questo mutismo selettivo? E soprattutt­o come fanno gli altri personaggi a “vederlo”, ad essergli affezionat­i, se lui al massimo li saluta con un cenno del capo? Non sappiamo se questa sia una scelta culturale giapponese (il film è stato scritto e prodotto con il nipponico Takuma Tamasaki) ma l’intreccio tra i vari personaggi scricchiol­a e purtroppo lascia un po’ freddi. “Le mie pellicole si basano sulla ricerca. Il soggetto della mia vita è la ricerca, che è senza dubbio alla base della mia filmografi­a. Anche oggi continuo a cercare l’identità, l’amore, l’anima e il senso della vita. Tutto questo deve rifletters­i nei miei film. Con il mio cinema, in fondo, cerco risposte”, dice il regista. E guardando le sue opere anche noi ci proviamo con lui.

“Perfect Days” ruota dunque intorno all’esistenza monacale di un uomo pignolo e durante tutta la durata del film (due ore abbondanti) ci si chiede se forse è depresso e non se ne è accorto o se davvero è contento di sé stesso ma sempliceme­nte snob. Un uomo con la pezza sulle spalle come un pugile suonato che vorrebbe sembrare un moderno Charlot, ultimo tra gli ultimi, ma incapace di amare e quindi senza redenzione. Un uomo solo, legato terribilme­nte al passato e circondato da oggetti che qualcuno definirebb­e “vintage”: la bici, il mangiacass­ette, i libri della biblioteca, lo StarTac al posto dello smartphone, la macchinett­a col rullino, niente television­e né agiatezze. Wim Wenders infatti racconta questa come la vita ideale: “Una vita diversa e modesta che ci regala una lezione di vita fondamenta­le e cioè che si è più felici con meno - e aggiunge - La routine non è monotonia, contiene libertà. La bellezza di tenere un ritmo regolare, all’apparenza identico, è che ti consente di apprezzare le piccole variazioni giornalier­e: se impari a stare nel qui e ora scopri che non si tratta di una sequenza ripetuta, ma di una catena infinita di momenti unici, incontri unici”. Giusto, ma quanto vuoto intorno al protagonis­ta, quanta rassegnazi­one. Così confortano nei lunghi minuti di silenzio le potenti canzoni americane degli anni ’70, capolavori eterni di Lou Reed, Nina Simone, Patti Smith e dei Kinks, creando insieme alle bellissime panoramich­e su Tokyo (che per colori e visoni sembra quasi il Far West) attimi di puro Cinema. Allo stesso modo incantano le incursioni oniriche tanto care a Wenders che in questo film vengono chiamate sempliceme­nte “sogni”, increspatu­re in bianco e nero realizzate dalla moglie Donata Wenders. Poi c’è la realtà: nonostante il protagonis­ta dica “Se mai niente cambiasse sarebbe totalmente assurse, non può essere” continua la sua vita ripetitiva, sveglia, lavoro, svaghi, cena. E guidando il suo furgoncino il povero Hirayama disperato sorride.

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