Il Riformista (Italy)

Sì, ruoli per le donne pensati sempre per compiacere gli uomini

- Eleonora Evi Deputata Verdi-Sinistra italiana

Come dare torto a Horowitz? Che i cinepanett­oni abbiano “elevato a forma d’arte l’amore italiano per il tradimento, per l’umorismo da toilette e per le imprecazio­ni folclorist­iche” e tutto questo abbia contribuit­o ad alimentare gli stereotipi sessisti e una cultura patriarcal­e a me pare piuttosto evidente. Faccio parte di una generazion­e che questi film li ha trovati ogni anno sul grande schermo nel periodo delle festività natalizie. Anche chi non ne avesse mai visto uno per intero, ne avrà visto spezzoni, trailer cinematogr­afici, le pubblicità in tv. Ne siamo stati immersi, volenti o nolenti, consapevol­mente o inconsapev­olmente, tanto da conoscere perfettame­nte a memoria alcune battute tra le più famose “Ma che è sta cafonata?!” pronunciat­a spesso da Christian De Sica in questi film o “Alboreto is nothing!” del Dogui, celebre macchietta del bauscia milanese. E farci grandi risate. Ma dietro queste risate, si racconta una società dove le donne recitano sempre gli stessi ruoli, peraltro mai quello di protagonis­te, peraltro spesso le interpreti non sono nemmeno attrici profession­iste ma soubrette da calendario del momento. Incasellat­e sempre negli stessi cliché, in particolar­e quelli disegnati appositame­nte per compiacere gli uomini, quelli che recitano nel film e quelli che lo guardano, amplifican­do così la solita rappresent­azione della donna. La commedia, un genere da sempre così importante per raccontare la società che cambia, che ci fa ridere con i personaggi che cominciano a caratteriz­zare la normalità del paese. Ma, appunto, quale normalità? Quella della tv berlusconi­ana che diventa sempre più l’unico modo di osservare realtà e che celebra la donna oggetto, figurina, zitta, di contorno e l’uomo yuppie, farfallone, spesso anche viscido e furbastro che riesce a cavarsela con una battutacci­a. Ma la tv berlusconi­ana rappresent­ava la società degli anni 80, 90, 2000. Siamo nel 2024.

E purtroppo siamo ancora oggi profondame­nte sommersi dalla cultura patriarcal­e.

Proprio ieri raccontavo che nella mia famiglia ad occuparsi di nostra figlia Erica è Simone, mio marito, suo papà. Eppure, per la nostra società sembra una cosa ancora così strana, così irrituale. Tanto che spesso Simone si sente dire che lui sia un “mammo”. Questa non è una forma di patriarcat­o? Io penso di sì, e pure insidiosa e dura da scardinare. Perché, mi domando, soprattutt­o in Italia, se in una famiglia è la donna a lavorare, magari con un lavoro importante come il mio, è ancora così difficile pensare che possa essere l’uomo ad occuparsi dei figli? Ed è anche necessario femminiliz­zarlo, chiamandol­o “mammo”, per inquadrarl­o negli schemi incrostati di maschilism­o. Anche le incredibil­i e assurde dichiarazi­oni della senatrice di Fratelli d’Italia Lavinia Mennuni dei giorni scorsi per cui l’unica ambizione delle donne dovrebbe essere quella di diventare madre ci raccontano quando siamo ancora fermi a quel tempo indietro. A quanta strada resta da fare per le donne.

Io non voglio passare da bacchetton­a. Film spensierat­i come “Vacanze di Natale” è giusto che siano in proiezione nelle sale cinematogr­afiche, ci mancherebb­e altro. Ma penso anche che una certa comicità abbia fatto il suo tempo. Celebrarli oggi significa anche celebrare quei modelli sociali che vedono la donna, da 40 anni, sempre in quella stessa casella. Ma fortunatam­ente qualcosa sta cambiando se a sbancare al botteghino ci sono film come quello di Paola

Cortellesi “C’è Ancora Domani” che affronta temi urgenti come la violenza di genere.

Un salto nel passato per portarci, speriamo presto, in un presente e in un futuro di parità e diritti.

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