I pericoli delle affermazioni di Meloni sull’IA per il Paese
Il governo deve promuovere un clima che favorisca l’adattamento e l’innovazione piuttosto che resistere passivamente a un’evoluzione tecnologica inarrestabile
Durante la conferenza stampa di fine anno, il Presidente Meloni ha risposto a una domanda sull’intelligenza artificiale dichiarando “sono preoccupata dell’impatto dell’intelligenza artificiale [...]. Ora la rivoluzione è diversa ed è l’intelletto che rischia di essere sostituito”. Ci sono due problemi fondamentali nelle espressioni usate, uno di scenario e uno di azione. Di scenario perché in un mondo in rapida evoluzione, dove l’IA sta già ridefinendo il tessuto del nostro vivere quotidiano, Meloni pare concentrarsi su “ipotetici” rischi futuri, ignorando la realtà presente dove l’IA sta già modificando profondamente il mercato del lavoro. E un problema di azione, perché la dichiarazione annuncia una strategia di retroguardia che rischia di posizionare l’Italia non come leader, ma coma laggard nell’era digitale. Il caso Axel Springer, con licenziamenti massivi dei giornalisti in favore della automazione, o le dichiarazioni di Elon Musk che predice un futuro dove “nessun lavoro è necessario” non sono scenari distopici futuribili, ma realtà concrete che stanno già prendendo forma. Una ricerca di fine anno, ResumeBuilder, mostra che nel 2023 il 37% dei leader aziendali in USA ha sostituito alcuni lavoratori con IA, e un ulteriore 44% prevede licenziamenti nel 2024 a causa dell’efficienza delle IA: questi dati non sono semplici cifre, ma la conferma di una trasformazione radicale in corso.
Ma la visione del governo italiano, in questo momento, più che concentrarsi sui timori per cercare di rallentare un processo che ormai appare inevitabile, dovrebbe sforzarsi di intraprendere strategie proattive: le AI sono qui per restare, e la domanda a cui dobbiamo rispondere non è “se” ma “come” l’Italia può navigare questo cambiamento. Siamo di fronte a un bivio storico con opportunità immense: certamente in modalità trasformativa della società - e dell’intero tessuto lavorativo - l’IA può aumentare la produttività, creare nuovi tipi di lavoro, e addirittura stimolare una crescita economica senza precedenti. Ma per cogliere le opportunità è necessario pensare in termini di investimenti massivi in formazione, ricerca e supporto all’innovazione. Il bivio è qui, ed il governo deve mostrarsi pronto a sostenere questo cambiamento, promuovendo un clima che favorisca l’adattamento e l’innovazione, piuttosto che resistere passivamente a un’evoluzione tecnologica inarrestabile. Nella salvaguardia di tutti i diritti, il momento è quello di scegliere il percorso da seguire: posizionarci come Paese del progresso o della retroguardia, decidere se considerare le IA una minaccia o un motore di crescita. La decisione che prenderemo oggi definirà il nostro domani e il nostro ruolo nel panorama politico mondiale.
Narrano che il grande poeta cinese Li Bai sia morto annegato nel fiume dopo essere caduto dalla barca mentre, ubriaco, tentava di afferrare la luna riflessa nelle acque. Illudersi di poter afferrare la realtà, di conoscere le cose, le persone, i segreti e poi rendersi conto di averne visti solo i riflessi cangianti e inafferrabili. Come i personaggi e le storie di Java Road, l’ultimo romanzo di Lawrence Osborne. Ci troviamo a Hong Kong tra il 2019 e il 2020. Centinaia di migliaia di studenti sfilano da mesi per le strade gridando “Dammi la libertà o dammi la morte!”. È in discussione una legge che consentirebbe di trasferire in Cina i detenuti di Hong Kong, un provvedimento che a giudizio di molti allungherebbe gli artigli di Pechino sulla ex colonia britannica. Siamo in un punto della storia e della geografia dove le differenze stridono l’una contro l’altra come le placche tettoniche quando generano terremoti. Hong Kong uno dei più grandi centri finanziari del mondo, avamposto del più sfrenato Occidente capitalista e consumista riconsegnato da qualche anno alla più grande potenza comunista del Globo. Qui l’establishment è filo cinese consapevole che quello è il destino dell’intera Asia, qui i giovani vogliono la democrazia e la libertà ignari che persino molti loro coetanei in Occidente se ne stanno disamorando. Adrian Gyle è un giornalista inglese che cerca di sbarcare il lunario con articoli on-line e su riviste che nessuno legge più. Vive da vent’anni a Hong Kong in un vecchio palazzo che si affaccia sulla centrale Java Road, le sue convinzioni si sono perse per strada, è un esule che pensa di non tornare più nel Vecchio Mondo ma è consapevole che non potrà essere parte del Nuovo. Gli stranieri come lui sono chiamati gway, fantasmi, privi di sostanza nell’ ordine sociale cinese. Ritrova Jimmy Tang, brillante rampollo di una ricchissima famiglia con cui ha studiato a Cambridge; conosce sua moglie Melissa Tang e infine anche Rebecca To, giovane, affascinante, ricca, spregiudicata, ribelle e amante di Jimmy. Rebecca è con gli studenti che protestano, Adrian non può che invaghirsene. Con il sottofondo delle marce di protesta e delle cariche della polizia la loro vita si trascina in un’atmosfera esotica e decadente tra feste esclusive, club e yacht lussuosi. Alcune pagine del libro sembrano essere un inserto di Vanity Fair. La svolta avviene quando viene ritrovato il corpo di una ragazza. È Rebecca? Tutto lascia pensare che sia lei. Chi l’ha stuprata e uccisa? La polizia come forse avvenuto con tanti altri giovani dichiarati suicidi? Sembrerebbe la soluzione più evidente. Potrebbe esserci la complicità di Jimmy per evitare uno scandalo? Adrian lo sospetta. Eppure ci sono tracce, apparizioni, messaggi che non quadrano. Testimonianze prezzolate e forse proprio per questo sospette. Oppure potrebbero essere esse stesse dei depistaggi, illusioni, riflessi per occultare segreti che non possono essere raccontati neppure ai lettori nelle ultime pagine del romanzo. Qui nasce il tema morale del libro: cosa succede se il tuo vecchio amico è un assassino ma tu non puoi dimostrarlo? Oppure se non fosse un assassino ma utilizzasse le circostanze e il suo potere per sbarazzarsi di un problema come un’amante ormai ingombrante? O non sarà invece che Adrian stesso, incapace di gestire la differenza di classe con Jimmy, stia usando il suo potere di giornalista per screditarlo? Come il grande poeta Li Bai di cui è appassionato studioso anche Adrian Gyle si trova a confrontarsi sull’importanza dell’amicizia quando travalica nella manipolazione, l’esperienza della solitudine, la consapevolezza del trascorrere del tempo, il tentativo di riportare la verità e non rendersi conto che forse i fatti non sono mai certi ma solo semplici riflessi sull’acqua della luna, luci che splendono nel buio e che tentare di afferrarli può portare a morire. “Nascevano insinuazioni e chiacchiere. Era impossibile capire chi dicesse la verità. Fosse la polizia o fossero i tabloid, tutti raccontavamo versioni per spiegare il fatto a noi stessi. Nessuno sapeva cos’era solido e cos’era aria. Il sospetto rappresentava l’unica legge della nuova era. Come poteva essere altrimenti se l’intero Stato poggiava ormai sul segreto e la dissimulazione? Così si dissolve una società, come una cosa solida e svanisce nell’aria”.
Con calcolata e raffinata malinconia Osborne racconta la vita obliqua e infelice di personaggi incapaci di dire dove sono e dunque a maggior ragione chi sono.