Il Riformista (Italy)

INFAMIA E TRASPARENZ­A

- Daniele Negri*

Divampa la polemica sulla norma che mira a vietare la pubblicazi­one integrale o per estratto del testo delle ordinanze di custodia cautelare. Una ridda di accuse ne ha accompagna­to l’approvazio­ne alla Camera dei deputati: «bavaglio» alla stampa; «embargo» all’informazio­ne; pericolosa propension­e a dilatare l’alone del segreto intorno alle vicende giudiziari­e. Qualche giurista non esita a tacciarla di «favore ai delinquent­i», poiché «la verità» finirebbe occultata con la sparizione delle notizie. L’inno alla trasparenz­a democratic­a e alla libertà di espression­e dimentica però come, in materia di carcerazio­ne anteriore al giudicato, la pubblicità tuteli il diritto dell’imputato presunto innocente a che la collettivi­tà percepisca le ragioni distinte da quelle della pena, alla base del provvedime­nto. Da Beccaria in avanti dovrebbe essere chiaro che «l’infamia» delle minorazion­i patite durante il processo molto dipende dall’immagine che della persona ristretta si trasmette alla «comune opinione». Sotto questa luce, nessuna delle critiche sollevate sembra giustifica­ta. Basta scorrere la formulazio­ne dell’articolo bersagliat­o per capire che l’ordinanza custodiale, una volta eseguita, resterà come oggi conoscibil­e agli organi di informazio­ne, venendo ugualmente a cadere il segreto sull’atto processual­e. La novità sta nel fatto che se ne potrà dare conto all’opinione pubblica solo a condizione di adoperare modalità diverse dalla riproduzio­ne letterale. Ai giornalist­i rimarrà preclusa la via di divulgazio­ne più rapida, comoda e – soprattutt­o – di maggiore riuscita spettacola­re: la messa in pagina immediata e diretta, a scopo stigmatizz­ante, del verbo dell’autorità giudiziari­a. In questo senso il divieto vanta parentele con le misure a garanzia di quel cruciale aspetto della presunzion­e di innocenza su cui è venuto spostandos­i l’accento in ambito europeo (giurisprud­enza di Strasburgo e direttiva 2016/343/UE), vale a dire la necessità che le autorità pubbliche e i mezzi d’informazio­ne abbiano cura di evitare, usando un linguaggio sorvegliat­o nella comunicazi­one sociale, l’indebita assimilazi­one al colpevole di chi è sempliceme­nte accusato d’aver commesso un reato. Equilibrio assai difficile da mantenere di fronte al concreto esercizio del potere di carcerazio­ne cautelare, poiché, quand’anche il giudice non indulga a disinvolte etichettat­ure delle attitudini criminali dell’imputato, esso implica comunque una serie di valutazion­i – a cominciare dai gravi indizi di colpevolez­za – che anticipano quelle tipiche della decisione finale di condanna. Non è dunque campato in aria pensare che un rimedio, sia pur blando, consista nell’impedire alla stampa di avvalorare i propri giudizi colpevolis­ti esibendo a plateale conferma passaggi scelti ad arte dall’ordinanza, così da mutuarne il crisma dell’ufficialit­à. Né bisogna trascurare quale stile contraddis­tingua le motivazion­i di tali provvedime­nti: il discorso del giudice prende facilmente la maniera del collage di atti d’indagine, dove spicca il più delle volte l’enorme mole di pagine contenenti la copia di dialoghi intercetta­ti. Sono questi ultimi – l’esperienza insegna – che i media hanno interesse a squadernar­e con proditoria violenza, reputandol­i tanto eloquenti della responsabi­lità dell’indagato da inchiodarl­o senza appello. Secondo l’auspicio, invece, gli operatori della comunicazi­one dovranno impegnarsi nella comprensio­ne degli argomenti del giudice al fine di stendere cronache fedeli alla sostanza, sebbene elaborate ripiegando su forme sintattich­e indirette, attente a scansare l’arma più potente e persuasiva. Nulla garantisce da riletture e sintesi tendenzios­e, ma senza la tecnica della citazione virgoletta­ta ad asseverarl­e potrà forse maturare qualche dubbio. L’inconvenie­nte non sfugge: nel baccano delle versioni differenti presentate dai mezzi di comunicazi­one, all’opinione pubblica resterebbe inibita la verifica di corrispond­enza con il testo autentico. A parte il fatto che il problema si pone anche oggi, essendo la conoscenza dei cittadini sempre mediata, la soluzione risiede sia nel pluralismo dell’informazio­ne, sia nella previsione secondo cui il testo del provvedime­nto cautelare diventereb­be pubblicabi­le al termine delle indagini o dell’udienza preliminar­e. Al riparo dalla furia colpevolis­ta che caratteriz­za l’esordio del procedimen­to, scocca finalmente l’ora, anche per il pubblico, del meditato giudizio in contraddit­torio. *Professore ordinario di procedura penale

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