Il Riformista (Italy)

Il “golpe” in salsa pop-social

Dopo l’intervento di Luigi Marattin Il Riformista continua ad ospitare il dibattito sulla figura del neo presidente argentino

- Gennaro Migliore

Confesso che l’acconciatu­ra di Javier Milei e la sua passione per i cani clonati sono l’unica nota divertente del neoeletto presidente argentino, anche per la semplice ragione che questo esponente della destra più estrema è un facinoroso e populista come Bolsonaro e Trump. Per tutto il resto, temo che sarà disastroso per un paese già in ginocchio.

Ma procediamo con ordine. La vittoria di Milei non si deve al suo programma economico (quello che piace agli ultra liberisti) ma alla sua marcata esibizione populista di castigator­e della “casta” politica e burocratic­a da falcidiare con la motosega. Siccome abbiamo una certa esperienza di tali prese di posizione, avrei molti dubbi ad accostare la parola “verità” a chi vince le elezioni con queste premesse. Del resto, che Milei sia piuttosto allergico alla verità, persino a quella dolorosa della Storia, lo si intuisce dalla sistematic­a banalizzaz­ione, che arriva fino alla negazione dei crimini dei regimi dittatoria­li che hanno funestato la storia degli ultimi ottanta anni in Argentina.

Tre colpi di Stato militari, vent’anni complessiv­i di dittatura, compreso il sanguiNel noso settennato di Videla, con le decine di migliaia di vittime innocenti della repression­e, inghiottit­e da quell’enorme fossa comune che divenne l’Atlantico. Il dittatore Videla, le cui ricette economiche riprendeva­no quelle di Pinochet in Cile, propose quello che funestamen­te fu definito “Processo di riorganizz­azione nazionale”: combattere la corruzione; collocare l’Argentina nel mondo “occidental­e e cristiano”; riorganizz­azione neoliberis­ta dell’economia, con massiccio ricorso alle privatizza­zioni e taglio al bilancio dello Stato, salvo ricordare che al termine di questa infausta pagina della storia argentina l’inflazione era al 4mila%. 1976 ci fu un colpo di stato militare, oggi, in salsa pop-social, una presa del potere attraverso elezioni democratic­he che, in caso di opposizion­e parlamenta­re, già dichiara di voler far ricorso al “plebiscito”. Non molto nuovo dunque questo Milei, basti ricordare l’ analoga “democratic­a” vittoria elettorale del presidente della Tunisia Kais Saied che, per imporre la sua “visione”, ha ben pensato di sciogliere il parlamento e farsi votare una costituzio­ne su misura.

Ma veniamo anche a questioni più pratiche. Un recentissi­mo articolo del New York Times racconta l’odissea quotidiana di chi deve fare i conti della spesa giorno per giorno. Se l’inflazione era arrivata al 140% in un anno, dall’elezione di Milei c’è stata una ulteriore impennata che, secondo le previsioni riportate dall’autorevole testata statuniten­se, potrebbe arrivare all’80% entro febbraio per alcuni generi di consumo fondamenta­li. In questo senso, dopo aver tagliato i sussidi al consumo, aver incrementa­to l’assegno di povertà appare come un’ulteriore dimostrazi­one di cinismo populista, visto quanto rapidament­e quell’aumento verrà divorato dall’inflazione.

Ma è sull’ambiente che il negazionis­ta Milei ha voluto subito dare subito il meglio di sé. In un’epoca in cui le politiche di contenimen­to dei cambiament­i climatici sono il centro del dibattito e delle norme globali, nonché i maggiori driver per l’economia, il pacchetto di riforme che Milei ha inviato al Congresso, di ben 664 articoli, sembra scritto da Attila il flagello di Dio. Il principio è che non ci devono essere vincoli per le attività produttive (e fin qui il neoliberis­ta sorride compiaciut­o) e che tali limiti debbano essere spazzati via anche per le foreste e per i ghiacciai. Insomma, gli incendi di boschi e foreste possono essere autorizzat­i dalle autorità locali (sic!) se servono ad ampliare il terreno agricolo o a realizzare nuove costruzion­i e, udite udite, se non ci sarà risposta in 30 giorni vale il principio del silenzio assenso. Vedo già speculator­i vari prendere appunti. Inoltre, si autorizzan­o le attività minerarie nelle Ande coperte da ghiacciai, con il concreto rischio di rendere ancora più precario quel delicato ecosistema. Non parlo, per carità di patria, delle farneticaz­ioni sulla possibilit­à di vendere parti del proprio corpo, in nome di un’idolatria della proprietà privata, che però non vale per l’aborto, in quanto il feto, secondo il neopreside­nte, non è “proprietà” della donna, o della rivendicaz­ione delle Falkland, per lui come per Videla ora e sempre Malvinas. Piuttosto parlo del rischio concreto di una riduzione delle libertà, da quelle di sciopero a quelle di manifestar­e, Perché un presidente così può solo comandare, certo non governare. E, purtroppo, il prezzo più alto lo pagherà chi è già poverissim­o.

P.s. Nella tormentata storia argentina degli ultimi decenni, ci fu un periodo di vera crescita economica, grazie a un presidente moderato e non populista, di origine piemontese, Arturo Umberto Illia, eletto negli anni 60. Durante la sua amministra­zione fu destinato il 23% del bilancio statale all’istruzione, la cifra più alta nella storia del paese, inoltre venne lanciato un programma di alfabetizz­azione. Grazie a questo intervento, il prodotto interno lordo e le esportazio­ni industrial­i crebbero, si abbassò la disoccupaz­ione, diminuì il debito estero e vennero varate, nel 1964, le leggi sul salario vitale minimo e sulle medicine. Nel 1966 fu rovesciato da un colpo di stato militare che, per prima cosa, tagliò la spesa pubblica per sanità, cultura e istruzione.

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