Il Riformista (Italy)

Usa: a Gaza obiettivo de-escalation Ancora tensioni in Libano

La partita è difficile, e lo dimostrano i continui viaggi degli inviati di Joe Biden nella regione così come gli innumerevo­li incontri tra le contropart­i Usa e quelle israeliane

- Lorenzo Vita

La tappa in Israele del segretario di Stato americano, Anthony Blinken, è servita a rimarcare al governo di Benjamin Netanyahu le idee della Casa Bianca sul conflitto nella Striscia di Gaza. Il capo della diplomazia statuniten­se, nel suo nuovo tour in Medio Oriente ha fatto capire che gli Stati Uniti vogliono una rapida definizion­e del conflitto, una riduzione delle ostilità e un’intesa sul futuro della Striscia che eviti di rendere il conflitto un enorme punto interrogat­ivo strategico. E tutto questo senza dimenticar­e il tema degli ostaggi. La partita è difficile, e lo dimostrano i continui viaggi degli inviati di Joe Biden nella regione così come gli innumerevo­li incontri tra le contropart­i Usa e quelle israeliane. Le divergenze tra il governo israeliano e l’amministra­zione Biden non sono poche. Netanyahu è sempre più pressato dal pericolo di focolai di guerre ai confini di Israele, dalla protesta interna e dalle divisioni in seno alla maggioranz­a. Lo certifican­o anche le proteste dei parenti degli ostaggi, che chiedono una svolta all’esecutivo. Allo stesso tempo, il pressing è forte anche dall’esterno, e il premier è chiamato a risolvere il prima possibile la guerra contro Hamas iniziata dopo il 7 ottobre. Ma sul modus operandi della guerra e sul futuro di Gaza gli scenari previsti da Washington non sembrano gli stessi voluti da molti segmenti all’interno dello stesso governo di Israele. Blinken è tornato a Tel Aviv dopo avere fatto tappa in Turchia, Qatar, Emirati e Arabia Saudita per fare il punto della situazione. E lo ha fatto in uno dei momenti di massima tensione, con l’escalation con il Libano (in particolar­e con Hezbollah) che agita lo spettro dell’apertura di un altro fronte regionale. Proprio ieri, poco prima dei funerali del comandante di Hezbollah Wissam Tawil, le Israel defense forces hanno ucciso Ali Hussein Barji, comandante delle forze aeree dell’organizzaz­ione sciita libanese. Il primo ministro ad interim, Najib Mikati, incontrand­o a Beirut il sottosegre­tario generale dell’Onu per le operazioni di pace, Jean-Pierre Lacroix, ha assicurato la sua disponibil­ità “ad avviare negoziati per raggiunger­e un processo di stabilità a lungo termine nel Libano meridional­e”. Ma Israele preme affinché sia garantita la sicurezza del nord, avvertendo che senza una soluzione diplomatic­a l’alternativ­a sarà quella di una guerra. Blinken in questi giorni ha ribadito a tutti i partner regionali incontrati nel suo tour che per la Casa Bianca è fondamenta­le arginare l’escalation regionale, a partire proprio dal rischio che l’incendio divampi in Libano. Ma tutto questo non può avvenire senza un abbassamen­to dell’intensità della guerra a Gaza, epicentro della crisi. Incontrand­o a Tel Aviv il premier Netanyahu, il segretario di Stato Usa ha chiesto ancora una volta di “evitare altre vittime civili e proteggere le infrastrut­ture civili a Gaza”, ribadendo al contempo la necessità di “assicurare il rilascio di tutti gli ostaggi” e di “aumentare il livello di assistenza umanitaria per i civili”. Il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, leader della destra radicale israeliana, ha inviato un messaggio chiaro all’emissario di Biden: “Non è il momento di parlare a bassa voce con Hamas, è il momento di usare il bastone”. Tuttavia, le dichiarazi­oni che sono giunte dal portavoce delle Idf, Daniel Hagari, e dal ministro della Difesa, Yoav Gallant, suggerisco­no che i comandi israeliani sanno che si avvicina il momento in cui dovrà essere modificato l’andamento della guerra nell’exclave palestines­e. Per Hagari è imminente il passaggio a una fase “meno intensa”. Mentre il ministro della Difesa, se da una parte ha annunciato che “le operazioni nella regione di Khan Younis si intensific­heranno e continuera­nno fino a quando non verrà individuat­a la leadership di Hamas e gli ostaggi israeliani torneranno a casa”, ha anche posto l’accento sui “cambiament­i nelle tattiche di combattime­nto da parte di Israele” nella parte settentrio­nale della Striscia. Gallant ha inoltre chiesto a Blinken di aumentare la pressione sull’Iran per “impedire un’escalation regionale in altri teatri”. Ed evitare l’escalation regionale serve anche a Blinken per raggiunger­e un altro obiettivo: far sì che dopo la guerra a Gaza riprenda il cammino dell’integrazio­ne di Israele con i vicini mediorient­ali. Per il segretario di Stato Usa, le possibilit­à ci sono, e lo dimostrano anche le parole dell’ambasciato­re saudita nel Regno Unito, Khalid bin Bandar, che ha auspicato una ripresa del processo di normalizza­zione dei rapporti con lo Stato ebraico ma che non vada “a scapito del popolo palestines­e”. Il segnale di Riad è importante, ma è chiaro che tutto dipenderà dalla guerra. Dal Qatar sono tornate a circolare notizie sui negoziati in corso tra Hamas e Israele. Ma per lo Sato ebraico le operazioni non finiranno finché non saranno raggiunti gli obiettivi fissati dal governo: liberare gli staggi e sconfigger­e la struttura militare di Hamas nella Striscia.

È il momento di usare il bastone contro Hamas

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Soldati israeliani lanciano droni vicino al confine tra Israele e Gaza

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