Il Riformista (Italy)

COMMEMORAZ­IO E ACCA LARENTIA GIUSTE LEOLEMICHE?

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Alfredo Bazoli / Senatore Partito democratic­o Sì, è spontanea l’indignazio­ne che scaturisce a fronte di manifestaz­ioni così sfrontate

Che volete che sia, si dice, un saluto romano, un richiamo nostalgico al fascismo? In fondo si tratta di sparuti gruppuscol­i, di minoranze un po’ estremiste e folclorist­iche che danni non ne fanno: il fascismo è il passato, non torna, guardiamo avanti, che senso ha aver paura di pochi fanatici che ripetono gesti e simboli di una vicenda storicamen­te conclusa nel 1945? Siccome ogni volta tocca sentire questi argomenti, che tentano in maniera un po’ grossolana di pizzicare le corde del buon senso, è bene ribadire invece le ragioni per cui indignarsi fa bene alla democrazia, e farebbe bene anche alla destra di questo paese.

È evidente che il fascismo non è dietro l’angolo, che non ci sono oggi le condizioni per una deriva che porti verso un regime del tipo di quello che abbiamo vissuto un secolo fa. Sarebbe sciocco pensarlo, ed è anche un po’ banale imputarlo a chi si indigna. Il fascismo come storicamen­te si è affermato nel nostro paese è morto con Mussolini, per fortuna. Ma non è mai morta l’ideologia che ne era alla base, e che non per caso ha fatto da brodo di coltura, negli anni 70 e 80 del secolo scorso, al terrorismo neofascist­a che a colpi di stragi ha condiziona­to pesantemen­te l’evoluzione democratic­a del nostro paese. Per questo quando in Italia, nel 2024, si tengono all’aperto e in pubblico manifestaz­ioni con decine di persone che, come in questo caso, evocano i simboli e si ispirano a un movimento politico che della negazione della libertà e della democrazia ha fatto il vessillo, che è cresciuto e prosperato sulla violenza politica, che ha sostenuto e attuato le leggi razziali e le deportazio­ni, che ci ha portato alla guerra, che ha alimentato il terrorismo nero e stragista in epoca repubblica­na, allora il livello di sensibilit­à e di reazione delle istituzion­i e delle autorità misura né più né meno che la saldezza e la solidità della nostra democrazia.

L’indignazio­ne che spontaneam­ente scaturisce a fronte di manifestaz­ioni così sfrontate come quella della commemoraz­ione dei morti di Acca Larentia è figlia dunque dell’attaccamen­to alla nostra libertà, ai principi costituzio­nali su cui si fonda la nostra repubblica, alla difesa delle nostre istituzion­i democratic­he. Per questo una risposta tiepida delle autorità segnala viceversa un problema, anche ove fosse dovuta a una colpevole sottovalut­azione dei segnali che quelle manifestaz­ioni lanciano. E la circostanz­a che in passato tutto ciò sia già accaduto, perfino quando al governo c’erano partiti di centrosini­stra, non è un argomento serio per derubricar­e la questione, o per ritenere che oggi venga agitata strumental­mente. Perché il partito di chi oggi governa il paese ha nel suo simbolo la fiamma tricolore, cioè l’emblema del MSI che fu guidato per lunghissim­o tempo da un leader che si dichiarava orgogliosa­mente fascista, e da cui transitaro­no molti militanti che finirono poi per ingrossare le fila dei tanti movimenti neofascist­i italiani. È dunque naturale che vi sia una particolar­e attenzione alle reazioni che il nostro attuale governo riserva a questo genere di manifestaz­ioni, perché anche da questi piccoli segnali si misura la maturazion­e politica della destra oggi egemone del nostro paese.

Chiedere dunque a Giorgia Meloni e agli altri esponenti di destra di questo governo una condanna netta, senza infingimen­ti, di questi episodi, chiedere una pronta reazione al ministro e alle autorità preposte alla vigilanza dell’ordine pubblico e della sicurezza, non significa speculare politicame­nte su una vicenda insignific­ante, o spostare l’attenzione dalle cose che contano a cose futili. E non significa nemmeno pretendere abiure da una storia o da un passato figlio di condizioni così diverse da quelle di oggi. Significa invece chiedere di mostrare empatia con la nostra repubblica e le nostre istituzion­i, e offrire una occasione per dimostrare che gli anni non sono passati invano, che oggi la destra italiana è sufficient­emente matura da consentire una netta presa di distanza da atteggiame­nti, comportame­nti e simboli che richiamano una ideologia che non solo è incompatib­ile con le istituzion­i democratic­he del nostro paese, ma che ha armato i terroristi neofascist­i e stragisti nella stagione buia della strategia della tensione.

Fabio Rampelli / Deputato Fratelli d’Italia No, si ripete da 46 anni con tutti i governi di ogni colore

Èrimasta senza colpevoli la tragica uccisione di Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, tre giovani del Fronte della Gioventù rimasti uccisi davanti alla sezione del MSI di Acca Larenzia nel 1978. Franco e Francesco furono freddati il 7 gennaio di 46 anni fa per mano di un commando comunista che doveva addestrars­i per poter entrare poi nelle Brigate Rosse. Stefano Recchioni si recò invece il giorno dopo al Tuscolano per esprimere con mille altre persone la sua indignazio­ne per quella mattanza, ma incontrò sulla sua strada un carabinier­e impazzito che sparò ad altezza d’uomo nella folla colpendolo in testa. Dopo un giorno di coma morì.

È questo l’elemento dal quale vorrei partire per fare un ragionamen­to nella speranza che il Parlamento approvi unanimemen­te la proposta di legge per l’istituzion­e di una commission­e d’inchiesta sulla violenza politica di quegli anni, che abbia il compito di accertare la verità storica. Non c’è intenzione di scavare ancora sulle grandi tragedie cui la magistratu­ra ha già lungamente indagato con alterne fortune. Vorrei che il lavoro si concentras­se su questi ‘figli di un Dio minore’, di destra e di sinistra, ragazzi talvolta minorenni di fronte alle cui morti lo Stato si è voltato dall’altra parte.

La disarmante mancanza di colpevoli è un fatto incontrove­rtibile ma né Elly Schlein né Giuseppe Conte hanno detto nulla. Nessuna espression­e di umana pietà nei confronti delle famiglie e della comunità politica che ha subito quella tragedia. Nelle crescenti accuse, non ho sentito una voce esprimere lo scandalo per la giustizia negata. Nonostante questa voragine nella quale sprofondò lo Stato di diritto, la sinistra si concentra sui saluti romani a opera di personaggi che non hanno nulla a che vedere con Fratelli d’Italia, chiedendo come un disco rotto una presa di distanza che da decenni è nei fatti. Lo fa agitando lo spettro del fascismo, eludendo la domanda più importante su cui è opportuno indagare: chi ha armato quei ragazzi protagonis­ti di una vera e propria guerra civile strisciant­e negli anni ‘70? Chi ha messo loro in mano cariche di tritolo e armi da guerra?

La negazione della giustizia è già di per sé una violenza ben lontana dalla democrazia e molto più vicina al fascismo e ai regimi totalitari di ogni segno ideologico.

Il 7 gennaio del 1978 resterà per sempre nella memoria della destra non soltanto per la terribile sciagura che si abbatté sulle famiglie dei tre ragazzi neanche ventenni e sulla loro comunità, ma anche per la profonda cicatrice che produsse. Nell’attesa vana che lo Stato facesse qualcosa si consumò la rabbia di migliaia di giovani che speravano in un’indagine, in un processo, in un colpevole. Niente di tutto questo accadde, esattament­e come per gli assassinii di altri ragazzi innocenti, di entrambi gli schieramen­ti. Quelle esistenze soppresse furono cancellate dalle cronache, non divennero mai filoni processual­i. Il trauma a destra fu profondo per questa giustizia sistematic­amente negata, da lì prese perfino forma lo ‘spontaneis­mo armato’.

Reazione ignobile che finì per diffondere altro dolore. Ci stupisce che oggi si possa parlare della commemoraz­ione sbagliata, che si ripete da 46 anni con tutti i governi di ogni colore, con centinaia di braccia tese (giusto ma insufficie­nte) senza interrogar­ci su cosa fare per porre rimedio all’impunità dei macellai terroristi. Oggi per certa sinistra strabica e smemorata e per alcuni media, il pericolo torna a essere il fascismo, il problema diventa la dissociazi­one del presidente Meloni dai saluti romani, come se fossero stati fatti in una manifestaz­ione del suo partito, come se il Capo del governo non avesse già confermato l’incompatib­ilità di FDI con il ventennio. Direi, usando l’espression­e di Lenin: l’estremismo è la malattia infantile del comunismo. È questa malattia che impedisce di vedere l’evoluzione di Fratelli d’Italia. Sicuro di poter rappresent­are il percorso democratic­o di un movimento nato 12 anni fa, le cui radici affondano nel Msi e crebbero in An, non rivendico solo la sottoscriz­ione delle tesi di Fiuggi, ma soprattutt­o la loro anticipazi­one di almeno dieci anni. Non eravamo famosi e raramente le nostre trasgressi­oni finivano sui Tg, ma la destra nostalgica ci marginaliz­zava perché la volevano trasformar­e. E così è stato.

Lo facemmo rinunciand­o ai ritualismi e agli orpelli ideologici, rompendo con veemenza il legame con il passato, creando il tragitto per una destra di governo, dedicandoc­i all’associazio­nismo, alla solidariet­à, all’ambiente, alla cultura, alle politiche sociali. Ma non abbiamo mai rinunciato a commemorar­e i nostri ragazzi uccisi barbaramen­te. Avremmo potuto prendere le distanze con una dichiarazi­one, facile, e invece abbiamo preso oltre 25 anni fa la decisione di non mettere piede al raduno serale di Acca Larenzia. I nostri ragazzi alla stessa ora si ritrovano nel quadrante opposto della città, nel Parco della Rimembranz­a a Villa Glori, in una composta fiaccolata in doppia fila fino a raggiunger­e l’albero piantato allora come simbolo di vita e di rinascita. Lo facciamo ogni anno davanti a quei sudari e a quei sacrari, portando le corone del dolore e il nostro cuore, sempre gonfio dalla disperazio­ne per la verità mai conquistat­a. Ma anche trasmetten­do ai nostri caduti la certezza che il loro sacrificio non sarebbe stato vano. L’Italia per la quale si battevano non è più quel sogno irraggiung­ibile che ha finito per spezzare tante vite, ma una realtà da costruire giorno dopo giorno, facendo prevalere gli interessi della nazione a quelli della fazione. Il futuro sul trapassato.

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