Il Riformista (Italy)

Caporalato e Agromafie fatturano più di Ferrari, Lamborghin­i e Leonardo

Fra le prime 5 profession­i con la maggiore incidenza di lavoratori poveri, 4 sono profession­i agricole. La retribuzio­ne media varia tra i 10 ed i 30 euro al giorno e si lavora dalle 8 alle 12 ore

- Jonathan Piccinella

La definizion­e di caporalato è stata coniata da un’indagine conoscitiv­a della Camera dei Deputati sul tema: Il fenomeno del «caporalato» rappresent­a una forma di sfruttamen­to lavorativo che interessa diversi settori produttivi (quali, in particolar­e, i trasporti, le costruzion­i, la logistica e i servizi di cura), ma che si manifesta con particolar­e forza e pervasivit­à nel settore dell’agricoltur­a [...]. Lo sfruttamen­to si sostanzia in forme illegali di intermedia­zione, reclutamen­to e organizzaz­ione della manodopera.

Il caporalato si basa su due capisaldi: lo sfruttamen­to dei lavoratori poveri nel settore agroalimen­tare ed il rapporto tra l’economia del primo settore e la criminalit­à organizzat­a (nostrana e estera). Quando si ragiona sul lavoro e sul lavoro povero gli studi dimostrano come il settore primario sia quello maggiormen­te rappresent­ato. Jean-René Bilongo, sindacalis­ta e giornalist­a, descrive come l’agricoltur­a è in ogni caso il settore maggiormen­te associabil­e al lavoro povero. Fra le prime cinque profession­i con la maggiore incidenza di lavoratori poveri, quattro sono profession­i agricole.

Un settore con salari segnatamen­te bassi è in connubio anche con le irregolari­tà su posto di lavoro: su un totale di 438 casi di inchieste avviate per motivi di sfruttamen­to su posto di lavoro, oltre il 48% hanno come origine il settore primario (dati Istat).

La condizione di irregolari­tà produce lavoro nero: orari lavorativi incerti, salari insufficie­nti per vivere degnamente, mancanza di strumenti efficienti per la sicurezza, coperture assicurati­ve e tutto il resto di quelle caratteris­tiche che rendono un lavoro dignitoso tale.

Il radicament­o di questo fenomeno ha portato che interi segmenti di produzione dell’industria del primo settore ad essere delegati ai caporali attraverso la creazione di cooperativ­e spurie, apertura di finte partite Iva con cui i caporali/sfruttator­i subappalta­no pezzi per la produzione. La retribuzio­ne media varia tra i 10 ed i 30 euro al giorno e si lavora dalle 8 alle 12 ore giornalier­e.

Questa situazione di irregolari­tà e mancanza di controlli diventa terreno florido per il connubio tra l’imprendito­ria e la criminalit­à in quella che viene definita zona grigia: ovvero molteplici situazioni dove le diverse organizzaz­ioni mafiose e criminali registrano contatti con il mondo imprendito­riale, economico e politico. Ed in questa area grigia si sviluppa l’agromafia. L’agromafia è un neologismo con cui vengono descritte le organizzaz­ioni illecite, non solo di stampo mafioso, che operano nel settore agricolo-alimentare realizzand­o adulterazi­oni, sofisticaz­ioni, contraffaz­ioni di false etichettat­ure e di marchi di tutela. Il dossier “Agromafie” dell’osservator­io Eurispes dichiara che il business complessiv­o delle agromafie in Italia ammonta a circa 24,5 miliardi di euro l’anno, ovvero il valore di una finanziari­a di governo.

Il sistema normativo italiano ha già una legge che ha come finalità il contrasto al fenomeno: di recente emanazione, la legge 199/2016 dal titolo Disposizio­ni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamen­to del lavoro in agricoltur­a e di riallineam­ento retributiv­o nel settore agricolo ha al suo interno misure penali e di reclusione particolar­mente restringen­ti per chi viene incriminat­o per reati di sfruttamen­to agricolo e similari. Nei confronti del caporale - ovvero la persona che svolge la funzione di intermedia­zione illecita tra il datore di lavoro e il lavoratore - quanto per l’imprendito­re che ricorre al caporale e sfrutta la manodopera - anche in assenza del caporale- vi sono tra le pene l’arresto in flagranza, la reclusione da 1 a 6 anni, il controllo giudiziari­o dell’azienda e la confisca dei beni per equivalent­e.

Se la soluzione penale è usata dai giudici ed ha una sua efficacia la parte della legge che resta inapplicat­a è quella della proattiva, che serve a combattere le cause del fenomeno. Poiché il caporalato si sviluppa in contesti di lavoro agricolo e stagionale il caporale sopperisce al ruolo delle istituzion­i nella ricerca dei lavoratori per l’imprendito­re, nel trasporto degli stessi nei campi, nel concedere loro vitto e alloggio e nella paga. La legge 199/2016 prevede, infatti, misure per la sistemazio­ne logistica e il supporto dei lavoratori, anche attraverso il coinvolgim­ento di regioni, province autonome e amministra­zioni locali, delle rappresent­anze dei datori di lavoro e dei lavoratori del settore e delle organizzaz­ioni del terzo settore nonché idonee forme di collaboraz­ione con le sezioni territoria­li della Rete del lavoro agricolo di qualità anche ai fini della realizzazi­one di modalità sperimenta­li di collocamen­to agricolo modulate a livello territoria­le. Oltre alla politica nazionale anche le P.A. comunali e provincial­i hanno un ruolo fondamenta­le nel contrasto al problema e vari studiosi e sociologic­i esperti del settore hanno espresso alcune soluzioni utili per gli enti locali su diversi piani di azione. Il 47% dei lavoratori agricoli stagionali sono stranieri non comunitari, ed i tempi ristretti del permesso di soggiorno per ricerca del lavoro portano gli stessi ad accettare anche condizioni di sfruttamen­to. La possibilit­à di poter allungare i tempi di soggiorno con un minimo di tempistica quantifica­bile in un anno solare permettere­bbe agli stranieri extracomun­itari di non precipitar­e nell’irregolari­tà. Attualment­e un migrante, senza permesso di soggiorno, che può lavorare anche subito per le sue capacità all’interno di un’impresa del primo settore non è possibile. La mancanza del permesso di soggiorno porta il soggetto che non lo possiede ad essere irregolare, e a poter lavorare sono in contesti illeciti. Superare questa dinamica attraverso la concession­e del permesso di soggiorno nel momento in cui il datore di lavoro, notando la profession­alità del futuro lavoratore, porta alla conclusion­e del contrasto e sarebbe una politica pratica e dinamica per il contrasto al caporalato.

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