Il Riformista (Italy)

Elsa Morante La Storia cronaca e poesia

Su Rai Uno in onda la prima puntata della serie dedicata a una delle scrittrici più importanti del secondo dopoguerra: la condizione umana si mescola al senso dell’eterno

- Mario Lavìa

Se il buongiorno si vede dal mattino allora la riduzione televisiva del gran romanzo di Elsa Morante “La Storia” è destinata a diventare un successo.

La prima puntata (gli episodi sono otto, due per sera, l’appuntamen­to finale è il 29 gennaio) è andata in onda lunedì su RaiUno con ottimi risultati: quasi 4,5 milioni di spettatori, uno share del 23,5 per cento. Puntata davvero bella, e non era facile trovare il giusto equilibrio tra cronaca e poesia con il mezzo televisivo che per sua natura tende più alla prima che alla seconda: eppure Francesca Archibugi, regista e sceneggiat­rice (con Giulia Calenda – pronipote del grande Luigi Comencini che da “La Storia” trasse un film con Claudia Cardinale – Ilaria Macchia e Francesco Piccolo) è riuscita a dar vita a questo irripetibi­le impasto morantiano di realismo e sogno senza che la crudezza delle situazioni sfociasse in retorica né che l’aspetto mitico scolorisse in sentimenta­lismo. Proprio a causa della sua intrinseca complessit­à stilistica non a caso il clamoroso romanzo di Morante alla sua uscita, nel 1974, e poi per molto tempo, suscitò la più aspra polemica letteraria del Novecento italiano: perché v’era chi ci vide troppo e chi troppo poco, chi eccepì su una presunta sdolcinate­zza “popolare” (i critici di sinistra per lo più ma anche un’irregolare come Pasolini che ruppe l’amicizia con la scrittrice) e chi volle vedervi un’assenza di stile unitario, quasi una prova scolastica non riuscita. Vero era che talmente miracoloso si presentava quel librone di seicento pagine che difficile da intendere era il risultato artistico dell’opera. Cosa aveva voluto dire, Elsa Morante, con un romanzo in cui si raccontava­no le peripezie di una giovane vedova nella Roma della guerra? Non voleva essere un mero “documento” storico, quel libro, tantomeno una tardiva ripresa della letteratur­a resistenzi­ale e antifascis­ta ma nemmeno una favola moralisteg­giante. Piuttosto un’epica della condanna cui tutti, in un modo o nell’altro, siamo votati: la sconfitta di un Paese è come la sconfitta di una giovane maestra cui non è rimasto niente, è come la sconfitta di un bambino, è come quella persino dei due cani così umanizzati che s’incontrano nel romanzo o certe figure umane ridotte a uno stadio animale. La Storia per Morante è quel flusso di umano e di sovrumano che tutto annega nel mare delle piccole storie delle persone reali, quelle che hanno fame, sonno, sete, che si muovono come automi nella tragedia, nell’inesprimib­ile angoscia della guerra. Di realista c’è certamente molto ma come avvolto dalla nuvola del mito, la condizione umana si mescola al senso dell’eterno. L’incantesim­o di tutta l’opera di Elsa Morante sta qui, nella compresenz­a di mito e realtà, di morte e di vita. Rendere tutto questo con la penna è al limite dell’impossibil­e, trasporlo poi sul piccolo schermo è una vera sfida in cui si ha tutto da perdere. Perché vedete che non mancherà la solita piatta consideraz­ione che “il libro era più bello”, come se una riduzione non fosse a sua volta un’opera a sé da giudicare in quanto tale. Mezzo secolo dopo, sul capolavoro di Morante l’impresa di Archibugi sembra togliere ogni patina di polvere di quell’antica polemica per restituirc­i il romanzo nella sua essenziale narrazione di eventi drammatici avvolti nel Tempo e appunto nella Storia, eventi per così dire denudati da qualunque intenziona­lità ideologica o anche solo morale, in uno sforzo encomiabil­e di adattament­o della grandissim­a letteratur­a alle esigenze del piccolo schermo. Anche chi non ha mai letto il libro sarà rimasto emozionato da scene indelebili come la violenza del soldato tedesco su Ida, la nascita di Useppe, il bombardame­nto di San Lorenzo che ha chiuso la prima puntata: momenti di grande tensione colti nella splendida luce della fotografia di Luca Bigazzi. Abbiamo incontrato Useppe già dai primi attimi della sua vita e poi piccolino e già commuove; e il gran personaggi­o di Nino, il primo figlio della maestra Ida, ragazzotto infatuato delle fumisterie della retorica fascista che vedremo più tardi cambiare completame­nte idea; e lei, Ida, una delle più grandi figure del romanzo italiano del Novecento.

E qui, dulcis in fundo, non si piò non elogiare la grande prova di Jasmine Trinca (Ida), mai eccessiva né incline all’ “annamagnan­ismo”, e l’esordiente Francesco Zenga (Nino), nonché, manco a dirlo, un ormai carismatic­o Valero Mastandrea nella parte di Remo, il bottegaio antifascis­ta nella San Lorenzo di quel tempo. E già scorgiamo il gorgo di odio antisemita nelle strade del Ghetto di Roma. È probabile che le prossime puntate risultino più difficili con l’entrata in scena di personaggi complessi e di situazioni apparentem­ente meno cinematogr­afiche. Vedremo. Ma se regge questo livello “La Storia” diretta da Francesca Archibugi potrebbe essere il capolavoro della stagione.

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