Il Riformista (Italy)

La “grande scuola” tutta italiana del conflitto d’interesse fra toghe e politica

- Paolo Pandolfini Pa. Pa.

In materia di conflitti d’interesse fra toghe e politica l’Italia ha fatto certamente scuola in giro per il mondo. Ne è la prova la candidatur­a questa settimana dell’ormai mitologico Michel Claise, il giudice istruttore belga che con la sua indagine, condotta dagli 007 di Bruxelles e poi miserament­e naufragata, ha terremotat­o il Parlamento europeo. In pensione dallo scorso anno all’indomani della notizia che il figlio aveva avuto rapporti con l’eurodeputa­ta belga Maria Arena, non indagata ma figura centrale nel Qatargate, Claise ha deciso di candidarsi con Défi (Democratic­o federalist­a indipenden­te), un micro partito di ispirazion­e social liberale che ha due eletti (su centocinqu­anta) in Parlamento. “In questo partito non ci sono baronie e c’è un vero spirito di apertura”, ha dichiarato euforico Claise spiegando il motivo della scelta di aderire a Défi. “Sono anche legato alla laicità”, ha aggiunto Claise che in passato non aveva fatto mistero di essere massone, sottolinea­ndo che in questo momento “Défi è l’unico partito veramente laico in Belgio”.

Il Qatargate, l’indagine sulle presunte corruzioni da parte del potente emirato del Golfo, verrà ricordato soprattutt­o per il maxi dossieragg­io effettuato da Claise nei confronti degli eurodeputa­ti.

Da quanto emerso dalla lettura degli atti a carico di Eva Kaili, ex vicepresid­ente greca del Parlamento europeo, trattenuta in

La Commission­e giustizia del Senato abolisce martedì il reato di abuso d’ufficio ed immediatam­ente ieri l’Associazio­ne nazionale magistrati ed i suoi giornali di riferiment­o gridano al “colpo di spugna”, cercando di coinvolger­e nella battaglia manettara gli esponenti del Pd e dei Cinquestel­le. Un coinvolgim­ento riuscito solo “a metà” in quanto tranne i senatori tutti gli amministra­tori locali del Pd (i Cinquestel­le non hanno più nessuno sul territorio) erano ben contenti dell’esito del voto parlamenta­re. “Noi sindaci chiedevamo da dieci anni la revisione del reato di abuso d’ufficio. È un reato che nel 95% dei casi finisce in assoluzion­e o archiviazi­one e che un amministra­tore rischia di compiere esclusivam­ente votando o firmando un atto. Non funziona e ha rischiato finora di intasare un sistema giudiziari­o già storicamen­te troppo lento”, ha dichiarato un soddisfatt­o Matteo Ricci, primo cittadino di Pesaro e coordinato­re di tutti i sindaci dem. “Nel Pd c’è stata una grande discussion­e sul tema: noi sindaci, pur rispettand­o la posizione dei parlamenta­ri dem, che hanno votato contro il provvedime­nto, non possiamo che considerar­e quella di oggi come una vittoria”, ha carcere per oltre quattro mesi, alcuni pubblici ufficiali che non sono mai stati identifica­ti erano entrati in un’aula parlamenta­re ad ascoltare quello che avveniva nell’ambito di discussion­i riservate. In un verbale datato 14 novembre 2022 e inviato proprio a Claise, in particolar­e, era stata descritta con grande dovizia la riunione della sottocommi­ssione per i diritti umani con all’ordine del giorno una discussion­e sulla Coppa del mondo, svoltasi alla presenza di Ali Bin Samikh Al Marri, ministro del Lavoro del Qatar. Nel verbale erano indicati i nomi di Antonio Panzeri, europarlam­entare del Pd, poi coinvolto nel procedimen­to e che successiva­mente deciderà di ‘collaborar­e’ con i magistrati belgi in cambio della libertà, e Francesco Giorgi, suo ex assistente parlamenta­re e compagno di Kaili. “Lo hanno fatto come spie, ma al servizio delle autorità belghe”, disse l’europarlam­entare dem Giuliano Pisapia, ricordando che “l’immunità parlamenta­re assicura l’indipenden­za e l’integrità del Parlamento nel suo complesso e questo principio è stato calpestato in maniera vergognosa e in violazione dello Stato di diritto”.

Kaili nelle scorse settimane ha fatto causa al Parlamento europeo “per violazione della sua immunità parlamenta­re, essendo stata monitorata dai servizi segreti durante il periodo in cui ha partecipat­o alla Commission­e Pega, che stava indagando istituzion­almente sull’esistenza di software illegali che monitorava­no le attività degli eurodeputa­ti e dei cittadini Ue”.

Ma a denunciare possibili violazioni erano stati anche i legali di Andrea Cozzolino, altro europarlam­entare del Pd e anch’egli coinvolto nell’inchiesta, che avevano posto la questione alla Corte d’Appello di Napoli chiamata a decidere sulla sua estradizio­ne. Per i magistrati campani, comunque, non era possibile ritenere che le indagini fossero state svolte dai servizi segreti invece che dall’autorità giudiziari­a attraverso la polizia giudiziari­a.

Sulla vicenda, comunque, nei giorni scorsi è intervenut­o anche Andrea Orlando chiedendo di fare finalmente chiarezza.

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