Il Riformista (Italy)

Sì, così la società non dovrà passare per l’intermedia­zione dei poteri statali

- Alberto La Malfa

Nella Costituzio­ne del 1948 si delineano cinque Regioni a statuto speciale, ognuna caratteriz­zata da motivazion­i uniche per la propria autonomia. Parallelam­ente troviamo quindici Regioni a statuto ordinario, che, nonostante le notevoli differenze tra loro in termini di estensione territoria­le, popolazion­e, sviluppo economico e culturale, godono degli stessi poteri. L’approccio del regionalis­mo differenzi­ato mira a consentire variazioni anche tra le Regioni ordinarie, come sottolinea­to nell’articolo 116, comma tre della Costituzio­ne. La Regione fa una richiesta al Governo, sentiti gli enti locali, di ulteriori forme e condizioni particolar­i di autonomia in materie tassativam­ente indicate: l’organizzaz­ione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali e tutte le materie di potestà legislativ­a concorrent­e. Se all’inizio degli anni 2000 solo alcune Regioni del Centro-Nord (Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana) hanno avanzato la richiesta, oggi quasi tutte le Regioni, chi più chi meno e con intensità diverse, si sono mosse quasi tutte alla ricerca di maggiore autonomia. Quindi, nonostante la diffusa preoccupaz­ione di tutto il meridione, la differenzi­azione viene acclamata dalle stesse che hanno avversato la stessa legge. A dispetto dei giochi politici, un aspetto da considerar­e, dibattuto in dottrina riguarda se la Regione debba utilizzare le risorse già a disposizio­ne o se abbia il diritto di ottenere risorse aggiuntive. La questione trova risposta nell’articolo 14 della legge 42/2009, che parla di “assegnazio­ne” delle necessarie risorse finanziari­e: si tratta di assegnare qualcosa che precedente­mente non era concesso. Senza questa interpreta­zione, il regionalis­mo differenzi­ato sarebbe accessibil­e solo alle Regioni più “ricche”. Tuttavia, se l’attribuzio­ne di maggiori funzioni è accompagna­ta da risorse finanziari­e aggiuntive, tutte le regioni possono candidarsi per condizioni di autonomia particolar­i. Questo elemento da solo contribuir­ebbe a smorzare le preoccupaz­ioni di coloro che vedono nella differenzi­azione una fonte di diseguagli­anza. In aggiunta, il regionalis­mo differenzi­ato elimina l’assurdità di trattare uniformeme­nte quindici Regioni, pur essendo notevolmen­te disomogene­e tra loro. Questa assurdità potrebbe essere considerat­a anche una violazione del principio di uguaglianz­a, che, come ben noto, proibisce di trattare in modo identico situazioni che presentano differenze sostanzial­i.

La motivazion­e che spinge le Regioni a richiedere l’applicazio­ne dell’articolo 116 comma 3 sembra mirare a valorizzar­e l’autonomia regionale in senso politico, piuttosto che concentrar­si su singole peculiarit­à territoria­li meritevoli di valorizzaz­ione. A mio avviso, è proprio questo il significat­o profondo dell’articolo 5. Superando la fantasia del separatism­o e senza reclamare l’indipenden­za (vedi il Veneto) potrebbe emergere la possibilit­à di vivere la politicità a livello locale. In tal modo, la società potrebbe organizzar­si ed esprimersi, anche dal punto di vista politico, senza dover necessaria­mente passare attraverso l’intermedia­zione dei poteri statali. Per quanto riguarda il contenuto dell’art. 116, terzo comma, esprimo giudizio complessiv­amente positivo, tuttavia, con una critica preliminar­e di rilievo sugli aspetti finanziari. È importante precisare, fin da subito, che il riferiment­o al concetto di residuo fiscale deve essere escluso categorica­mente, senza possibilit­à di eccezioni. Mi riferisco soprattutt­o alla proposta avanzata dalla Regione Veneto che proponeva l’allocazion­e delle imposte e tasse raccolte in un territorio a vantaggio delle popolazion­i locali. È fondamenta­le sottolinea­re che nel nostro ordinament­o costituzio­nale tale approccio non può essere adottato. La Corte costituzio­nale ha già chiarito la questione in maniera inequivoca­bile.

Come hanno recentemen­te sottolinea­to in molti, è essenziale comprender­e che le modalità di finanziame­nto per le competenze differenzi­ate non devono diventare uno stratagemm­a per consentire alle Regioni più ricche di eludere il dovere costituzio­nale di solidariet­à verso le aree economicam­ente più deboli del Paese. Come direbbe il Professore ordinario dell’Università Cattolica di Miliano, Enzo Balboni: “È evidente per tutti che la presenza di autonomie territoria­li in un ordinament­o, in particolar­e quelle regionali, è giustifica­ta solo se agiscono come stimolo e non come ostacolo per la realizzazi­one dei diritti sociali”. Questo può avvenire anche attraverso la sperimenta­zione di nuove vie e modalità innovative. In altre parole, non ogni forma di differenzi­azione si traduce necessaria­mente in irragionev­oli disuguagli­anze. Al contrario, mantenere lo status quo, con il rischio di un regresso nel Mezzogiorn­o d’Italia, è meno vantaggios­o di un regionalis­mo differenzi­ato, a condizione che sia gestito in modo sano e responsabi­le. un

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