Javier Milei, il presidente più odiato dagli statalisti
Rivoluzione liberale Berlusconi nel ‘94
Cominciamo subito col dire che l’“ultraliberismo” non esiste, figuriamoci il “turboliberismo”. Il liberismo è la semplice trasposizione del pensiero liberale in economia.
Definire un leader politico liberista “di estrema destra” - come è stato fatto per il neo eletto presidente argentino Javier Milei - è solo un modo abietto e falso di argomentare per avvicinare il liberismo al fascismo e bollare come estremista o come un pazzo il primo presidente libertario di tutti i tempi, che ha mandato finalmente al diavolo i peronisti argentini. Il politico che chiede meno Stato e più Libertà non è né di destra, né di sinistra, ma è odiato dai veri estremisti del nostro tempo: gli ultra, turbo-statalisti, di destra, di sinistra, di centro e a 5stelle, professionisti nell’estorsione fiscale in nome del “bene comune” che altro non è che il bene del proprio partito.
Non è un caso che Milei, soprattutto in Italia, non goda di buona stampa, qui da molti anni abbiamo la somma di tasse e contributi pari al 65% per qualsiasi attività produttiva.
Qui abbiamo una spesa pubblica folle ormai al 66% rispetto al PIL, un debito monstre ed un’economia che annaspa nello zerovirgola da decenni. Oltre alle spese pubbliche necessarie di uno “Stato Minimo” è cioè relative al funzionamento dei dicasteri più importanti del governo, noi abbiamo un buco nero di partecipate statali, regionali, municipalizzate decotte, enti pubblici dipendenti dallo Stato e da tutte le sue articolazioni locali. Una miriade di centri di costo la cui spesa è perfino difficilmente calcolabile, dove avvengono continue infornate a chiamata diretta, senza concorso. Alcuni lo chiamano il parastato, ma è la grande roccaforte dei partiti politici per controllare le proprie truppe cammellate, accrescere il proprio radicamento sul territorio, per usufruire di pacchetti di preferenze da utilizzare nelle competizioni elettorali per eleggere i propri ras locali. Abbiamo una scarsa libertà economica compressa oltre che da ipertassazione da una burocrazia debordante, balorda ed autoreferenziale. Perché in Italia impera il partito unico del “+Stato!” che va da destra a sinistra e copre tutto l’arco costituzionale.
In Argentina, però, è accaduto l’impensabile, un popolo cresciuto a pane e Stato ha votato un professore di economia, un liberista e libertario, che ha fatto la campagna elettorale con una sega elettrica in mano gridando “afuera” a tutti i ministeri inutili, allo sperpero di denaro pubblico, uno che ha detto che ci sarebbero stati sacrifici, perché il denaro era finito, ma che poi applicando la benefica scure liberista per l’Argentina sarebbe iniziata una nuova storia di benessere e prosperità. Il popolo argentino gli ha creduto. Qui in Italia i più subdoli lo vogliono accumunare a Grillo, ma Milei è l’opposto di Grillo che vuole la decrescita felice, il reddito di cittadinanza, i bonus etc. Milei non è un populista, ma un politico di razza che ha le idee molto chiare. È scettico sul fatto che i cambiamenti climatici siano imputabili all’attività umana, mette quindi in discussione le conclusioni a cui è arrivato l’Ipcc e questo qui in Europa è considerato blasfemia, “negazionismo climatico”, perché secondo i nostri democratici verdi e ben pensanti nessuno può mettere in discussione la nuova religione per cui siamo noi la causa della prossima apocalisse climatica. Così di emergenza in emergenza qui in Europa impera il dirigismo, il costruttivismo e sulla base di un’ipotesi non confermata faranno arrivare nuove tasse, mascherate da bonus, distorceranno il mercato e distruggeranno Intere filiere produttive. Ma forse sta montando una nuova consapevolezza anche qui.
A pochi giorni dall’insediamento di Milei possiamo solo registrare che la borsa argentina ha fatto un balzo del 43% (in dollaro USA), la sola speranza di riforme liberiste ha fatto volare gli acquisti. Vedremo quel che davvero riuscirà a fare il professore libertario, ma di certo sappiamo che la sua ricetta è quel che serve per guarire l’Argentina. La ricetta Milei a ben guardare era quella che aveva promesso Berlusconi nel ‘94 per l’Italia, la famosa rivoluzione liberale mai avvenuta e di cui l’Italia aveva ed ha ancora un disperato bisogno.
Noi, che siamo gli unici in Italia a parlare lo stesso linguaggio del partito “La Libertà avanza”, possiamo solo auspicare che emerga anche qui un Milei e che riesca a rompere il muro della propaganda statalista. In Argentina il miracolo è riuscito perché non deve avvenire anche in Italia?
C’è uno stretto intreccio, storico politico e culturale, tra il pensiero cattolico popolare e la riforma delle istituzioni nel nostro paese. Un capitolo su cui la miglior tradizione di questo storico filone ideale si è esercitata nel tempo, sin dal momento della scrittura della Costituzione repubblicana. Non è un caso se, per fare un solo esempio, la centralità del Parlamento, il bilanciamento dei poteri, l’autonomia dei singoli organi dello Stato e il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica - tutti temi cari ai valori del cattolicesimo politico - sono stati per svariati decenni gli elementi che hanno caratterizzato e segnato la crescita e il consolidamento della democrazia nel nostro paese. Il tutto condito dalla salvaguardia e dalla valorizzazione del pluralismo in tutte le sue accezioni. E questo per la semplice ragione che la qualità della democrazia, la credibilità e la trasparenza delle istituzioni e il ruolo e la funzione della politica devono andare sempre di pari passo quando si parla e si discute di riforme istituzionali. Mai slegate le une dalle altre perché il mosaico complessivo del nostro tessuto istituzionale regge
“Forse nessuno è compiutamente se stesso finché non scopra il luogo che da sempre lo aspetta, lo rispecchia, in qualche modo lo integra”. Rintocchi di campana nel fondo di una notte screziata solo da lucori baluginanti d’arancio tra i vicoli romani e da un tappeto di stelle che si innalza verticale come pinnacolo di marmo e di mito. Quiete in piazza Sant’Anselmo, a Roma. Nella stanza, una veglia. Zolla intona una lieve filastrocca per bambini, gli occhi di lei, stesa sul letto, pur nella sofferenza, si addolciscono e guardano quell’oltre, quell’esatto luogo ove le anime simili si stringono in amicizia stellare, ritrovandosi lungo la dorsale del tempo e chiamandosi finalmente per nome. Nell’amore. Cristina Campo. Non, semplicemente, scrittrice, poetessa, conversatrice, traduttrice. Ma vocata all’assoluto, trappista della perfezione, come la definì Guido Ceronetti. nella misura in cui i vari tasselli non vengono meno nella costruzione della “casa comune”, cioè della Repubblica parlamentare. Ora, anche in un’epoca ancora segnata da una spiccata anti politica e da una assenza delle tradizionali e storiche culture politiche, è indubbio che le riforme istituzionali, e costituzionali, rispondono sempre ad un disegno politico. Anche quando il retroterra ideale dei partiti e le rispettive culture politiche si sono progressivamente inariditi sino al punto di scomparire quasi del tutto nella stagione in cui ha fatto irruzione il populismo anti politico, demagogico e qualunquista dei grillini. Ma la stagione politica che stiamo vivendo, dopo la vittoria del centro destra alle elezioni del 2022 e della sinistra radicale e massimalista con l’affermazione della Schelin alle primarie del Pd, esige e quasi impone da parte di tutti il ritorno della politica a tutto tondo. E la riforma delle istituzioni, e di alcuni articoli della stessa Costituzione, non può che registrare anche e soprattutto il protagonismo di quella cultura che è stata decisiva e determinante in tutmi ti i tornanti più delicati della vita pubblica del nostro paese. Soprattutto sul versante delle istituzioni. E la recente proposta della Presidente Meloni non può essere banalmente rispedita al mittente perché chi sta all’opposizione, come pensa e dice il nuovo corso del Pd, deve limitarsi sempre e solo a distruggere tutto ciò che proviene dalla parte politica alternativa ed opposta. La disponibilità al confronto e al dialogo, come pare facciano Renzi e altri pochi leader politici, è l’unica strada per cercare di essere coerenti con il comportamento concreto di quella classe dirigente del passato che, almeno sui temi istituzionali, non si è mai sottratta pregiudizialmente e preventivamente. Proprio la cultura del cattolicesimo democratico e popolare può fornire, al riguardo, una utile indicazione su come comportarsi. Sia nel recupero, e nella riattualizzazione, del tradizionale pensiero cattolico popolare e sia nella sua versione più concreta e declinata nei suoi vari passaggi storici. Dal “cittadino arbitro” di Roberto Ruffilli all’avversità verso ogni forma di concentrazione dei poteri; dal ruolo del Parlamento inteso come culla del riconoscimento del pluralismo politico al protagonismo dei cittadini nella scelta della classe dirigente; dall’insofferenza verso ogni forma di supplenza rispetto al potere politico al rifiuto dei pasticci di palazzo che sostituiscono la libera scelta democratica dei cittadini. Ecco perché, infine, anche e soprattutto le culture politiche del passato - almeno quelle che restano attuali, contemporanee e moderne - hanno il dovere di ritornare ad essere protagoniste nell’attuale stagione politica e su temi decisivi come quello delle riforme istituzionali. E, al riguardo, la storia, la cultura e la tradizione del cattolicesimo popolare e democratico possono, ancora una volta, dare un contributo decisivo anche in questa particolare stagione storica e politica del nostro paese.
Non può mancare il protagonismo di quella cultura che è stata decisiva e determinante in tutti i tornanti più delicati della vita pubblica del nostro paese
“Il titolo dice già tutto. Il libro è la storia di un uomo partito da zero, dalla provincia italiana, riuscito a costruire qualcosa di grande, che prima non c’era, seguendo un sogno che gli ha consentito di superare limiti e ostacoli”: Matteo Renzi, direttore del Riformista, ha salutato così Federico Marchetti, il fondatore di Yoox il primo e-commerce di moda al mondo nell’intervista che gli ha fatto ieri in occasione della presentazione di “Le avventure di un innovatore. Il sogno americano, tutto italiano, del fondatore di YOOX” (Longanesi) il libro che l’imprenditore ha scritto affiancato Daniela Hamaui. L’incontro si è svolto nell’ambito della 105esima edizione di Pitti Uomo in programma in questi giorni a Firenze ed è stato ospitato dal rinnovato spazio Giunti Odeon. “Questo libro è la descrizione di una fatica mostruosa, ho deciso di raccontare cose che non avevo mai detto e l’ho fatto per dire a tutti i nostri ragazzi che se vogliono possono cambiare la loro vita” ha ricordato Marchetti, specificando bene quello che deve sempre essere l’atteggiamento giusto: “Ho sempre cercato di vedere le cose da un punto di vista diverso, originale. Mi sono sempre sentito un innovatore”. In effetti il curriculum di questo “visionario” nato a Ravenna nel 1969 parla chiaro: dopo aver conseguito una solida formazione in economia alla Bocconi e alla Columbia, ed essersi innamorato del Web, tornò in Italia per fondare la sua azienda. Yoox ha rappresentato un autentico uovo di Colombo: immettendo sul mercato digitale abiti dei grandi marchi rimasti invenduti a fine stagione e fornendo un mercato ulteriore alle grandi griffe, Marchetti ha registrato un clamoroso successo internazionale ottenuto puntando tutto su digitale e innovazione, ma senza mai perdere di vista la creatività e la soddisfazione del cliente, oltre all’impegno nelle cause sociali e nel rispetto della natura. Decisiva per l’imprenditore italiano la decisione di tornare in patria dopo il master negli Usa e puntare sul binomio moda-innovazione. “Avevo messo da parte un po’ di soldi ed ero in cerca dell’idea giusta” ha ricordato il padre di Yoox, la lampadina si accese in un appartamento di Milano: internet avrebbe potuto essere la chiave per ottenere successo con la moda. La prima spedizione sembrò essere un segno del destino: otto paia di scarpe Miu Miu ordinate da suore di clausura.
La vicenda di Marchetti, tuttavia, non è stata solo rose e fiori come ha ricordato Renzi: Nel 1999 erano collegati a internet tre milioni e mezzo di italiani. Oggi sono 50 milioni, di cui più de 70% collegati a un social media. Dopo l’euforia iniziale però la bolla digitale esplose travolgendo gran parte delle esperienze imprenditoriali nate grazie alla rete. “Tutto ciò che sembrava bellissimo scomparve di colpo e l’e-commerce era considerato l’Aids dell’economia. Non ho mollato e alla fine le cose sono andate bene” ha detto Marchetti: “Quando siamo venuti a Pitti il primo anno abbiamo fatturato un milione di euro. Nel 2018, ultimo mio bilancio approvato, fatturavano circa 3 miliardi di euro, avevamo 5.500 dipendenti, dell’età media circa 30 anni, più della metà dei quali donne”. Nel 2021 dopo ventun anni
Marchetti ha lasciato la guida della sua azienda che aveva venduto tre anni prima, per affrontare una delle più grandi sfide che l’umanità si trova davanti: la crisi climatica. Oggi è Presidente della Fashion Task Force della Sustainable Markets Initiative, fondata da Re Carlo III. Ed è proprio la sostenibilità la nuova frontiera da seguire adesso. Parola di Marchetti che ha spiegato: “L’intreccio magico dei nostri tempi è quello tra l’innovazione e la sostenibilità. Sto dando tutto me stesso per iniziative dedicate all’ambiente e alla tutela del nostro pianeta. Per quanto mi riguarda sono ormai impegnato in questo ambito, non mi vedo ad avviare un’altra impresa”.
Federico Marchetti: la versione imprenditoriale del calabrone che, ignorando le leggi della fisica, vola pur non avendo la struttura adatta per farlo. “Contro ogni probabilità, è scritto sul primo quadro che ho acquistato. La sfida che ho sempre cercato di cogliere”.