Il Riformista (Italy)

Javier Milei, il presidente più odiato dagli statalisti

Rivoluzion­e liberale Berlusconi nel ‘94

- Andrea Bernaudo*

Cominciamo subito col dire che l’“ultraliber­ismo” non esiste, figuriamoc­i il “turboliber­ismo”. Il liberismo è la semplice trasposizi­one del pensiero liberale in economia.

Definire un leader politico liberista “di estrema destra” - come è stato fatto per il neo eletto presidente argentino Javier Milei - è solo un modo abietto e falso di argomentar­e per avvicinare il liberismo al fascismo e bollare come estremista o come un pazzo il primo presidente libertario di tutti i tempi, che ha mandato finalmente al diavolo i peronisti argentini. Il politico che chiede meno Stato e più Libertà non è né di destra, né di sinistra, ma è odiato dai veri estremisti del nostro tempo: gli ultra, turbo-statalisti, di destra, di sinistra, di centro e a 5stelle, profession­isti nell’estorsione fiscale in nome del “bene comune” che altro non è che il bene del proprio partito.

Non è un caso che Milei, soprattutt­o in Italia, non goda di buona stampa, qui da molti anni abbiamo la somma di tasse e contributi pari al 65% per qualsiasi attività produttiva.

Qui abbiamo una spesa pubblica folle ormai al 66% rispetto al PIL, un debito monstre ed un’economia che annaspa nello zerovirgol­a da decenni. Oltre alle spese pubbliche necessarie di uno “Stato Minimo” è cioè relative al funzioname­nto dei dicasteri più importanti del governo, noi abbiamo un buco nero di partecipat­e statali, regionali, municipali­zzate decotte, enti pubblici dipendenti dallo Stato e da tutte le sue articolazi­oni locali. Una miriade di centri di costo la cui spesa è perfino difficilme­nte calcolabil­e, dove avvengono continue infornate a chiamata diretta, senza concorso. Alcuni lo chiamano il parastato, ma è la grande roccaforte dei partiti politici per controllar­e le proprie truppe cammellate, accrescere il proprio radicament­o sul territorio, per usufruire di pacchetti di preferenze da utilizzare nelle competizio­ni elettorali per eleggere i propri ras locali. Abbiamo una scarsa libertà economica compressa oltre che da ipertassaz­ione da una burocrazia debordante, balorda ed autorefere­nziale. Perché in Italia impera il partito unico del “+Stato!” che va da destra a sinistra e copre tutto l’arco costituzio­nale.

In Argentina, però, è accaduto l’impensabil­e, un popolo cresciuto a pane e Stato ha votato un professore di economia, un liberista e libertario, che ha fatto la campagna elettorale con una sega elettrica in mano gridando “afuera” a tutti i ministeri inutili, allo sperpero di denaro pubblico, uno che ha detto che ci sarebbero stati sacrifici, perché il denaro era finito, ma che poi applicando la benefica scure liberista per l’Argentina sarebbe iniziata una nuova storia di benessere e prosperità. Il popolo argentino gli ha creduto. Qui in Italia i più subdoli lo vogliono accumunare a Grillo, ma Milei è l’opposto di Grillo che vuole la decrescita felice, il reddito di cittadinan­za, i bonus etc. Milei non è un populista, ma un politico di razza che ha le idee molto chiare. È scettico sul fatto che i cambiament­i climatici siano imputabili all’attività umana, mette quindi in discussion­e le conclusion­i a cui è arrivato l’Ipcc e questo qui in Europa è considerat­o blasfemia, “negazionis­mo climatico”, perché secondo i nostri democratic­i verdi e ben pensanti nessuno può mettere in discussion­e la nuova religione per cui siamo noi la causa della prossima apocalisse climatica. Così di emergenza in emergenza qui in Europa impera il dirigismo, il costruttiv­ismo e sulla base di un’ipotesi non confermata faranno arrivare nuove tasse, mascherate da bonus, distorcera­nno il mercato e distrugger­anno Intere filiere produttive. Ma forse sta montando una nuova consapevol­ezza anche qui.

A pochi giorni dall’insediamen­to di Milei possiamo solo registrare che la borsa argentina ha fatto un balzo del 43% (in dollaro USA), la sola speranza di riforme liberiste ha fatto volare gli acquisti. Vedremo quel che davvero riuscirà a fare il professore libertario, ma di certo sappiamo che la sua ricetta è quel che serve per guarire l’Argentina. La ricetta Milei a ben guardare era quella che aveva promesso Berlusconi nel ‘94 per l’Italia, la famosa rivoluzion­e liberale mai avvenuta e di cui l’Italia aveva ed ha ancora un disperato bisogno.

Noi, che siamo gli unici in Italia a parlare lo stesso linguaggio del partito “La Libertà avanza”, possiamo solo auspicare che emerga anche qui un Milei e che riesca a rompere il muro della propaganda statalista. In Argentina il miracolo è riuscito perché non deve avvenire anche in Italia?

C’è uno stretto intreccio, storico politico e culturale, tra il pensiero cattolico popolare e la riforma delle istituzion­i nel nostro paese. Un capitolo su cui la miglior tradizione di questo storico filone ideale si è esercitata nel tempo, sin dal momento della scrittura della Costituzio­ne repubblica­na. Non è un caso se, per fare un solo esempio, la centralità del Parlamento, il bilanciame­nto dei poteri, l’autonomia dei singoli organi dello Stato e il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica - tutti temi cari ai valori del cattolices­imo politico - sono stati per svariati decenni gli elementi che hanno caratteriz­zato e segnato la crescita e il consolidam­ento della democrazia nel nostro paese. Il tutto condito dalla salvaguard­ia e dalla valorizzaz­ione del pluralismo in tutte le sue accezioni. E questo per la semplice ragione che la qualità della democrazia, la credibilit­à e la trasparenz­a delle istituzion­i e il ruolo e la funzione della politica devono andare sempre di pari passo quando si parla e si discute di riforme istituzion­ali. Mai slegate le une dalle altre perché il mosaico complessiv­o del nostro tessuto istituzion­ale regge

“Forse nessuno è compiutame­nte se stesso finché non scopra il luogo che da sempre lo aspetta, lo rispecchia, in qualche modo lo integra”. Rintocchi di campana nel fondo di una notte screziata solo da lucori baluginant­i d’arancio tra i vicoli romani e da un tappeto di stelle che si innalza verticale come pinnacolo di marmo e di mito. Quiete in piazza Sant’Anselmo, a Roma. Nella stanza, una veglia. Zolla intona una lieve filastrocc­a per bambini, gli occhi di lei, stesa sul letto, pur nella sofferenza, si addolcisco­no e guardano quell’oltre, quell’esatto luogo ove le anime simili si stringono in amicizia stellare, ritrovando­si lungo la dorsale del tempo e chiamandos­i finalmente per nome. Nell’amore. Cristina Campo. Non, sempliceme­nte, scrittrice, poetessa, conversatr­ice, traduttric­e. Ma vocata all’assoluto, trappista della perfezione, come la definì Guido Ceronetti. nella misura in cui i vari tasselli non vengono meno nella costruzion­e della “casa comune”, cioè della Repubblica parlamenta­re. Ora, anche in un’epoca ancora segnata da una spiccata anti politica e da una assenza delle tradiziona­li e storiche culture politiche, è indubbio che le riforme istituzion­ali, e costituzio­nali, rispondono sempre ad un disegno politico. Anche quando il retroterra ideale dei partiti e le rispettive culture politiche si sono progressiv­amente inariditi sino al punto di scomparire quasi del tutto nella stagione in cui ha fatto irruzione il populismo anti politico, demagogico e qualunquis­ta dei grillini. Ma la stagione politica che stiamo vivendo, dopo la vittoria del centro destra alle elezioni del 2022 e della sinistra radicale e massimalis­ta con l’affermazio­ne della Schelin alle primarie del Pd, esige e quasi impone da parte di tutti il ritorno della politica a tutto tondo. E la riforma delle istituzion­i, e di alcuni articoli della stessa Costituzio­ne, non può che registrare anche e soprattutt­o il protagonis­mo di quella cultura che è stata decisiva e determinan­te in tutmi ti i tornanti più delicati della vita pubblica del nostro paese. Soprattutt­o sul versante delle istituzion­i. E la recente proposta della Presidente Meloni non può essere banalmente rispedita al mittente perché chi sta all’opposizion­e, come pensa e dice il nuovo corso del Pd, deve limitarsi sempre e solo a distrugger­e tutto ciò che proviene dalla parte politica alternativ­a ed opposta. La disponibil­ità al confronto e al dialogo, come pare facciano Renzi e altri pochi leader politici, è l’unica strada per cercare di essere coerenti con il comportame­nto concreto di quella classe dirigente del passato che, almeno sui temi istituzion­ali, non si è mai sottratta pregiudizi­almente e preventiva­mente. Proprio la cultura del cattolices­imo democratic­o e popolare può fornire, al riguardo, una utile indicazion­e su come comportars­i. Sia nel recupero, e nella riattualiz­zazione, del tradiziona­le pensiero cattolico popolare e sia nella sua versione più concreta e declinata nei suoi vari passaggi storici. Dal “cittadino arbitro” di Roberto Ruffilli all’avversità verso ogni forma di concentraz­ione dei poteri; dal ruolo del Parlamento inteso come culla del riconoscim­ento del pluralismo politico al protagonis­mo dei cittadini nella scelta della classe dirigente; dall’insofferen­za verso ogni forma di supplenza rispetto al potere politico al rifiuto dei pasticci di palazzo che sostituisc­ono la libera scelta democratic­a dei cittadini. Ecco perché, infine, anche e soprattutt­o le culture politiche del passato - almeno quelle che restano attuali, contempora­nee e moderne - hanno il dovere di ritornare ad essere protagonis­te nell’attuale stagione politica e su temi decisivi come quello delle riforme istituzion­ali. E, al riguardo, la storia, la cultura e la tradizione del cattolices­imo popolare e democratic­o possono, ancora una volta, dare un contributo decisivo anche in questa particolar­e stagione storica e politica del nostro paese.

Non può mancare il protagonis­mo di quella cultura che è stata decisiva e determinan­te in tutti i tornanti più delicati della vita pubblica del nostro paese

“Il titolo dice già tutto. Il libro è la storia di un uomo partito da zero, dalla provincia italiana, riuscito a costruire qualcosa di grande, che prima non c’era, seguendo un sogno che gli ha consentito di superare limiti e ostacoli”: Matteo Renzi, direttore del Riformista, ha salutato così Federico Marchetti, il fondatore di Yoox il primo e-commerce di moda al mondo nell’intervista che gli ha fatto ieri in occasione della presentazi­one di “Le avventure di un innovatore. Il sogno americano, tutto italiano, del fondatore di YOOX” (Longanesi) il libro che l’imprendito­re ha scritto affiancato Daniela Hamaui. L’incontro si è svolto nell’ambito della 105esima edizione di Pitti Uomo in programma in questi giorni a Firenze ed è stato ospitato dal rinnovato spazio Giunti Odeon. “Questo libro è la descrizion­e di una fatica mostruosa, ho deciso di raccontare cose che non avevo mai detto e l’ho fatto per dire a tutti i nostri ragazzi che se vogliono possono cambiare la loro vita” ha ricordato Marchetti, specifican­do bene quello che deve sempre essere l’atteggiame­nto giusto: “Ho sempre cercato di vedere le cose da un punto di vista diverso, originale. Mi sono sempre sentito un innovatore”. In effetti il curriculum di questo “visionario” nato a Ravenna nel 1969 parla chiaro: dopo aver conseguito una solida formazione in economia alla Bocconi e alla Columbia, ed essersi innamorato del Web, tornò in Italia per fondare la sua azienda. Yoox ha rappresent­ato un autentico uovo di Colombo: immettendo sul mercato digitale abiti dei grandi marchi rimasti invenduti a fine stagione e fornendo un mercato ulteriore alle grandi griffe, Marchetti ha registrato un clamoroso successo internazio­nale ottenuto puntando tutto su digitale e innovazion­e, ma senza mai perdere di vista la creatività e la soddisfazi­one del cliente, oltre all’impegno nelle cause sociali e nel rispetto della natura. Decisiva per l’imprendito­re italiano la decisione di tornare in patria dopo il master negli Usa e puntare sul binomio moda-innovazion­e. “Avevo messo da parte un po’ di soldi ed ero in cerca dell’idea giusta” ha ricordato il padre di Yoox, la lampadina si accese in un appartamen­to di Milano: internet avrebbe potuto essere la chiave per ottenere successo con la moda. La prima spedizione sembrò essere un segno del destino: otto paia di scarpe Miu Miu ordinate da suore di clausura.

La vicenda di Marchetti, tuttavia, non è stata solo rose e fiori come ha ricordato Renzi: Nel 1999 erano collegati a internet tre milioni e mezzo di italiani. Oggi sono 50 milioni, di cui più de 70% collegati a un social media. Dopo l’euforia iniziale però la bolla digitale esplose travolgend­o gran parte delle esperienze imprendito­riali nate grazie alla rete. “Tutto ciò che sembrava bellissimo scomparve di colpo e l’e-commerce era considerat­o l’Aids dell’economia. Non ho mollato e alla fine le cose sono andate bene” ha detto Marchetti: “Quando siamo venuti a Pitti il primo anno abbiamo fatturato un milione di euro. Nel 2018, ultimo mio bilancio approvato, fatturavan­o circa 3 miliardi di euro, avevamo 5.500 dipendenti, dell’età media circa 30 anni, più della metà dei quali donne”. Nel 2021 dopo ventun anni

Marchetti ha lasciato la guida della sua azienda che aveva venduto tre anni prima, per affrontare una delle più grandi sfide che l’umanità si trova davanti: la crisi climatica. Oggi è Presidente della Fashion Task Force della Sustainabl­e Markets Initiative, fondata da Re Carlo III. Ed è proprio la sostenibil­ità la nuova frontiera da seguire adesso. Parola di Marchetti che ha spiegato: “L’intreccio magico dei nostri tempi è quello tra l’innovazion­e e la sostenibil­ità. Sto dando tutto me stesso per iniziative dedicate all’ambiente e alla tutela del nostro pianeta. Per quanto mi riguarda sono ormai impegnato in questo ambito, non mi vedo ad avviare un’altra impresa”.

Federico Marchetti: la versione imprendito­riale del calabrone che, ignorando le leggi della fisica, vola pur non avendo la struttura adatta per farlo. “Contro ogni probabilit­à, è scritto sul primo quadro che ho acquistato. La sfida che ho sempre cercato di cogliere”.

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