Il Riformista (Italy)

Il Sud Africa trascina Israele davanti all’Aja: l’accusa di genocidio

Gli ebrei accusati di infliggere segregazio­ne e sterminio, loro che sono stati vittime del più grande olocausto e segregazio­ne della Storia. Le reazioni, dove esiste una libera informazio­ne, sono state di sdegno

- Paolo Guzzanti

Il vecchio giudice Aharon Barak, sopravviss­uto ai campi nazisti, pensionato ex presidente della Corte Suprema e in politica nemico assoluto di Benjamin Netanyahu, è all’Aja per partecipar­e come magistrato al processo contro lo Stato di Israele, accusato di genocidio nei confronti dei palestines­i, dal Sud Africa. Ieri si è svolta la prima seduta e oggi ci sarà quella conclusiva ed è stato uno degli spettacoli giudiziari più rivoltanti per chiunque abbia memoria, come Aharon Barak dell’Olocausto. Come se non bastasse, all’accusa di genocidio si è aggiunta anche quella di segregazio­ne razziale, mossa anche questa al Sud Africa. Il processo va in onda in streaming e tutto il mondo ha assistito con sentimenti contrastan­ti all’enormità persino blasfema – gli ebrei accusati di infliggere segregazio­ne e sterminio, loro che sono stati vittime del più grande olocausto e segregazio­ne della Storia. Ma i commenti che il pubblico poteva scrivere durante la trasmissio­ne sono stati in prevalenza e con un odio profondo, contro Israele e a favore dei palestines­i e degli assassini di Hamas. Gli accusatori sudafrican­i hanno letto gli argomenti preparati dal loro governo con l’accusa di “apartheid” contro Israele nel suo stesso territorio dove vivono liberament­e e nella pienezza dei loro diritti civili un quinto degli abitanti di Israele. Di regimi di “apartheid” la storia ne ha conosciuti almeno tre: quello americano dopo la guerra civile che affrancò gli schiavi senza riconoscer­ne i diritti civili, poi la prima segregazio­ne nazista contro gli ebrei privati dei diritti dei tedeschi non ebrei e infine la segregazio­ne in Sud Africa. Tutto il mondo democratic­o è stato solidale con questo Paese e per primo lo Stato di Israele. Da qualche anno è molto popolare nei Paesi di lingua inglese l’attore Trevor Noah, classe 1984, nato in Sud Africa famoso per la drammatica e ironica narrazione della sua storia, con una madre africana e un padre svizzero con il quale non poté mai vivere a causa dell’apartheid. Il regime segregazio­nista fu instaurato in Sud Africa una prima volta dal primo ministro Jan Smuts nel 1928 e poi ripristina­ta nel 1948 per essere abolita finalmente con la vittoria di Nelson Mandela nel 1993. Questo Paese fa parte dei cosiddetti “Brics” ed è quindi schierato con Russia, Cina, e Iran. Ed è il Paese che ha chiesto la messa in stato d’accusa di Israele con l’accusa di genocidio nei confronti del popolo palestines­e, per la violenta risposta con bombardame­nti su Gaza in seguito alla mostruosa strage perpetrata in Israele da Hamas il 7 ottobre scorso, quando 2.200 civili (fra cui molti arabi israeliani) furono macellati, centinaia di donne violentate e poi assassinat­e, con una strage di bambini arsi vivi e neonati decapitati. Una carneficin­a che oggi Hamas nega ma che risulta non soltanto dai testimoni ma dai video che gli stessi esecutori hanno girato e poi messo on line. Sulle prove e la consistenz­a di questo delitto è intervenut­o alla fine di dicembre il New York Times pubblicand­o gli esiti della verifica documental­e durata due mesi e che conferma ogni atrocità su cui soltanto adesso le Nazioni Unite hanno deciso di indagare. Fino alla pubblicazi­one del rapporto del quotidiano americano, la mattanza e le torture del 7 ottobre non erano state menzionate nei rapporti ufficiali delle Nazioni Unite.

La reazione di Israele di fronte all’iniziativa del Sud Africa è stata sdegnata. “Sud Africa braccio giuridico di Hamas”, è stato lo slogan dei manifestan­ti pro-Israele che ieri hanno formato un corteo davanti al tribunale dell’Aja, con i parenti dei cento ostaggi ancora nelle mani di Hamas, organizzaz­ione che proprio ieri ha annunciato di voler giustiziar­e se Israele non si ritirerà da Gaza. Abbiamo assistito a orazioni pronunciat­e dagli accusatori sudafrican­i che indossavan­o sulla toga i colori della loro bandiera, i quali sostenevan­o che in Israele esiste uno stato di segregazio­ne, l’apartheid che è usata come primo passo per il genocidio deliberato e ora in corso del popolo palestines­e. In Israele vivono circa dieci milioni di persone di cui due milioni sono arabi, la cui percentual­e è quasi raddoppiat­a dai tempi della fondazione dello Stato di Israele nel 1948 costituend­o più di un quinto dell’intera popolazion­e palestines­e che vive insieme agli ebrei con assoluta parità di diritti (esentati dal servizio militare) fra cui l’obbligo scolastico per le ragazze, un diritto negato in quasi tutti gli Stati arabi. Ma ieri, davanti allo stesso tribunale che ha condannato Vladimir Putin non per aver invaso uno Stato indipenden­te ma per aver fatto deportare in Russia migliaia di bambini rapiti in Ucraina, il Sud Africa ha accusato davanti al mondo Israele di genocidio, cioè del più infame dei delitti, noto come Shoah, subiti nell’indifferen­za del mondo dal popolo degli ebrei sterminati a milioni insieme agli zingari. Le reazioni in tutto il mondo in cui esiste una libera informazio­ne sono state di sdegno e di disagio, anche se da molti mesi una vasta campagna favorevole ad Hamas antisraeli­ana ed antisemita dilaga sia nell’Europa occidental­e che negli Stati Uniti a causa dell’altissimo numero di vittime dei bombardame­nti israeliani a Gaza per stanare e distrugger­e Hamas. Ma nessuno si aspettava che l’accusa di aver provocato la morte di migliaia di civili tra cui molti bambini fosse accompagna­ta dall’accusa di segregare i cittadini arabi israeliani, un quinto degli abitanti di Israele, discendent­i dei palestines­i che nel 1948 non obbedirono all’ordine della Lega Araba di abbandonar­e il nascente Stato di Israele. Quelli che vivono nello Stato ebraico sono gli unici arabi che votano e sono eletti in Parlamento. Il più famoso di loro è il professor Salim Joubran che, come Presidente della Corte Suprema israeliana, nel 2003 mandò in galera l’ex Capo dello Stato di Israele, Moshe Katzav, per abusi sessuali.

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