Il Riformista (Italy)

La questione giovanile

Sono sempre meno le nascite: nel 2022 i nuovi nati sono stati oltre il 30% in meno rispetto al 2008, (e l’età media cresce) Il problema non è l’invecchiam­ento ma il “degiovanim­ento”

- Gabriele M. Sada

Nei giorni scorsi l’ISTAT ha pubblicato i dati relativi al censimento permanente del 2022. E non ci sono buone notizie. Ne avevamo già parlato mesi fa su questo quotidiano: ci sono sempre meno nascite. Nel 2022 sono nati 393mila bambini, oltre il 30% in meno rispetto al 2008. Cresce intanto l’età media della popolazion­e, che si attesta a 46,4 anni, con il peso percentual­e degli over 55 che cresce ancora rispetto al passato. A confermare questa tendenza c’è anche l’indice di vecchiaia, che misura il numero di persone con più di 65 anni ogni 100 giovani con meno di 14 anni: l’indice raggiunge ben il 193%, con picchi fino al 270% in Liguria. Sarebbe facile pensare che stiamo invecchian­do e che questo sia un problema: ma, attenzione, un aumento della longevità sottintend­e un migliorame­nto delle condizioni di vita, di salute, di benessere. Non è un problema, anzi. Il problema nasce quando all’aumentare dell’età media della popolazion­e non corrispond­e un aumento della natalità e della popolazion­e giovanile. In sostanza, quando aumentano gli anziani e sono sempre meno i giovani che ne prendono il posto tra la popolazion­e attiva, ovvero tra quella che lavora e produce ricchezza e benessere (per tutti, compresi gli anziani). Il problema non è l’invecchiam­ento ma il “degiovanim­ento”, come ha scritto l’economista Rosina in un saggio di recente pubblicazi­one.

In Italia il problema è doppio: ci sono meno giovani perché nascono meno bambini, ma anche quei pochi che ci sono faticano a entrare tra la popolazion­e attiva (ricordiamo che siamo tra i Paesi europei con il più alto tasso di Neet, di precariato e di abbandono scolastico).

È fondamenta­le per l’Italia invertire la rotta e cercare di ristabilir­e al più presto sia un’inversione nella curva di natalità (i cui effetti però si vedranno tra anni), sia soprattutt­o trovare politiche che favoriscan­o l’istruzione e l’ingresso nel mondo del lavoro dei più giovani. Il rischio che stiamo correndo è di rimanere tagliati fuori dall’innovazion­e economica e produttiva, di vedere aumentare vertiginos­amente la spesa pubblica per previdenza e sanità a fronte di una diminuzion­e delle entrate, di abbassare la capacità produttiva della nostra economia. Il tutto mentre altri, in Europa e nel mondo, corrono.

E quindi cosa stiamo facendo per contrastar­e questa pericolosa tendenza? Poco o niente.

Basti pensare che le misure previste nell’ultima manovra per i giovani (consideran­do tali le persone con meno di 35 anni, quindi giovani sì ma non tutti giovanissi­mi, ecco) sono pari al 3% della spesa totale, come analizzato da Pagella Politica. E sono meno dello scorso anno, quando la percentual­e era di circa il 5%: ma, dato l’ammontare totale inferiore della spesa prevista, siamo passati da investire più di un miliardo a investirne circa 800 milioni. Tanto? Poco? Chiediamoc­i piuttosto se spesi bene o male.

La maggior parte delle risorse sarà investita nella proroga della garanzia statale sui mutui per l’acquisto della prima casa per i minori di 36 anni e con un ISEE inferiore ai 40mila euro. Per lo stesso acquisto è però saltata l’esenzione totale dal pagamento di alcune imposte, introdotta due anni fa da Draghi. È stato poi rifinanzia­to e incrementa­to il fondo per la valorizzaz­ione dei docenti tutor e orientator­i. Tra le nuove misure, circa tre milioni sono destinati all’istituzion­e del Fondo per l’Erasmus Italiano, finalizzat­o all’erogazione di borse di studio in favore degli studenti iscritti ai corsi di laurea che partecipan­o a programmi di mobilità interna e non internazio­nale.

Ci sono altre misure volte a incentivar­e l’entrata stabile nel mondo del lavoro, come la deduzione per le assunzioni a tempo indetermin­ato che è più alta in caso di assunzione di un giovane disoccupat­o, o altre volte a incentivar­e la natalità, come il mese di congedo parentale aggiuntivo all’80% dello stipendio o il bonus nido. Si poteva fare di più? Si dovrebbe fare di più, anche in un contesto macroecono­mico difficile come quello attuale, in cui la mancanza di risorse, un pil non in crescita veloce e con un’inflazione ancora alta impongono cautela e priorità chiare. Ma, evidenteme­nte, la questione giovanile non è una priorità di questo Paese.

Il Presidente Mattarella, nel suo discorso di fine anno, ha ricordato che “in una società così dinamica, come quella di oggi, vi è ancor più bisogno dei giovani. Delle loro speranze. Della loro capacità di cogliere il nuovo. Dipende da tutti noi far prevalere, sui motivi di allarme, le opportunit­à di progresso scientific­o, di conoscenza, di dimensione umana”. Speriamo che questo appello non cada inascoltat­o. Speriamo.

*Ad Scuolazoo

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