La questione giovanile
Sono sempre meno le nascite: nel 2022 i nuovi nati sono stati oltre il 30% in meno rispetto al 2008, (e l’età media cresce) Il problema non è l’invecchiamento ma il “degiovanimento”
Nei giorni scorsi l’ISTAT ha pubblicato i dati relativi al censimento permanente del 2022. E non ci sono buone notizie. Ne avevamo già parlato mesi fa su questo quotidiano: ci sono sempre meno nascite. Nel 2022 sono nati 393mila bambini, oltre il 30% in meno rispetto al 2008. Cresce intanto l’età media della popolazione, che si attesta a 46,4 anni, con il peso percentuale degli over 55 che cresce ancora rispetto al passato. A confermare questa tendenza c’è anche l’indice di vecchiaia, che misura il numero di persone con più di 65 anni ogni 100 giovani con meno di 14 anni: l’indice raggiunge ben il 193%, con picchi fino al 270% in Liguria. Sarebbe facile pensare che stiamo invecchiando e che questo sia un problema: ma, attenzione, un aumento della longevità sottintende un miglioramento delle condizioni di vita, di salute, di benessere. Non è un problema, anzi. Il problema nasce quando all’aumentare dell’età media della popolazione non corrisponde un aumento della natalità e della popolazione giovanile. In sostanza, quando aumentano gli anziani e sono sempre meno i giovani che ne prendono il posto tra la popolazione attiva, ovvero tra quella che lavora e produce ricchezza e benessere (per tutti, compresi gli anziani). Il problema non è l’invecchiamento ma il “degiovanimento”, come ha scritto l’economista Rosina in un saggio di recente pubblicazione.
In Italia il problema è doppio: ci sono meno giovani perché nascono meno bambini, ma anche quei pochi che ci sono faticano a entrare tra la popolazione attiva (ricordiamo che siamo tra i Paesi europei con il più alto tasso di Neet, di precariato e di abbandono scolastico).
È fondamentale per l’Italia invertire la rotta e cercare di ristabilire al più presto sia un’inversione nella curva di natalità (i cui effetti però si vedranno tra anni), sia soprattutto trovare politiche che favoriscano l’istruzione e l’ingresso nel mondo del lavoro dei più giovani. Il rischio che stiamo correndo è di rimanere tagliati fuori dall’innovazione economica e produttiva, di vedere aumentare vertiginosamente la spesa pubblica per previdenza e sanità a fronte di una diminuzione delle entrate, di abbassare la capacità produttiva della nostra economia. Il tutto mentre altri, in Europa e nel mondo, corrono.
E quindi cosa stiamo facendo per contrastare questa pericolosa tendenza? Poco o niente.
Basti pensare che le misure previste nell’ultima manovra per i giovani (considerando tali le persone con meno di 35 anni, quindi giovani sì ma non tutti giovanissimi, ecco) sono pari al 3% della spesa totale, come analizzato da Pagella Politica. E sono meno dello scorso anno, quando la percentuale era di circa il 5%: ma, dato l’ammontare totale inferiore della spesa prevista, siamo passati da investire più di un miliardo a investirne circa 800 milioni. Tanto? Poco? Chiediamoci piuttosto se spesi bene o male.
La maggior parte delle risorse sarà investita nella proroga della garanzia statale sui mutui per l’acquisto della prima casa per i minori di 36 anni e con un ISEE inferiore ai 40mila euro. Per lo stesso acquisto è però saltata l’esenzione totale dal pagamento di alcune imposte, introdotta due anni fa da Draghi. È stato poi rifinanziato e incrementato il fondo per la valorizzazione dei docenti tutor e orientatori. Tra le nuove misure, circa tre milioni sono destinati all’istituzione del Fondo per l’Erasmus Italiano, finalizzato all’erogazione di borse di studio in favore degli studenti iscritti ai corsi di laurea che partecipano a programmi di mobilità interna e non internazionale.
Ci sono altre misure volte a incentivare l’entrata stabile nel mondo del lavoro, come la deduzione per le assunzioni a tempo indeterminato che è più alta in caso di assunzione di un giovane disoccupato, o altre volte a incentivare la natalità, come il mese di congedo parentale aggiuntivo all’80% dello stipendio o il bonus nido. Si poteva fare di più? Si dovrebbe fare di più, anche in un contesto macroeconomico difficile come quello attuale, in cui la mancanza di risorse, un pil non in crescita veloce e con un’inflazione ancora alta impongono cautela e priorità chiare. Ma, evidentemente, la questione giovanile non è una priorità di questo Paese.
Il Presidente Mattarella, nel suo discorso di fine anno, ha ricordato che “in una società così dinamica, come quella di oggi, vi è ancor più bisogno dei giovani. Delle loro speranze. Della loro capacità di cogliere il nuovo. Dipende da tutti noi far prevalere, sui motivi di allarme, le opportunità di progresso scientifico, di conoscenza, di dimensione umana”. Speriamo che questo appello non cada inascoltato. Speriamo.
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