Il Riformista (Italy)

Un sacrifico fatto per altruismo e per l’innato senso del donare

La storia di Francesca Caridi, infermiera di Bagheria: ha adottato Elena, una bambina abbandonat­a affetta dalla sindrome di down. Un afflato di dedizione appassiona­ta

- Davide Faraone*

La storia che sto per raccontare è una di quelle che mi emoziona, perché con sé porta i segni di un sacrifico fatto per altruismo e fatto per l’innato senso del donare. Lei è Francesca Caridi, una infermiera profession­ale di Bagheria, in provincia di Palermo, che nel suo ospedale ha visto passare tantissima gente, e si sa quando indossi un camice non puoi affezionar­ti, devi schermarti. Essere empatici sì, sensibili pure ma farsi coinvolger­e dai sentimenti quasi mai. È una regola che piano piano si acquisisce, una forma di autotutela. Ho conosciuto Francesca, la sua forza d’animo ma soprattutt­o la sua grande capacità di essere presenza, di volere risolvere i problemi, di non lasciarsi trasportar­e dalle cose negative. Si trovava in ospedale in due diverse occasioni con uno stesso denominato­re comune: due neonati abbandonat­i. Il primo un maschietto dalle guanciotte paffutelle, bello come tutti i neonati lo sono. Per quel bambino è stato subito avviato l’iter per un affidament­o finalizzat­o ad una adozione, per lui nessun problema, le famiglie a farne richiesta erano più di una. E in un tempo in cui le strade del cuore sembrano serrate questa è stata una ottima notizia. La seconda bambina abbandonat­a era affetta dalla sindrome di down, a causa poi di una agenesia era priva della mano destra. I genitori naturali non l’hanno voluta, per loro era evidenteme­nte un peso e una responsabi­lità così grande da non riuscire né a conviverci e nemmeno a fronteggia­re. Nessun giudizio, capita che non ci si senta pronti. Confusi, smarriti. Per questa piccola creatura non passarono pochi giorni per essere affidata e poi adottata, per lei nessuna risanno chiesta. Rimaneva lì, in ospedale, con i medici e le infermiere che si prendevano cura di questa anima innocente, che non aveva chiesto né di nascere né di essere abbandonat­a. Gli assistenti sociali hanno cercato pure ospitalità presso una comunità, in ospedale non ci poteva più stare nonostante Francesca la cullava, le cambiava il pannolino, le comprava le tutine, le dava da mangiare. Se ne prendeva cura non per senso del dovere ma per un amore che ha subito provato, le si spezzava il cuore a vedere una bambina sola abbandonat­a in un ospedale. Una bambina che aveva bisogno di avere una culla tutta sua, una voce familiare, i sorrisi e gli abbracci che sanno di casa, che di buono, che sono amore incondizio­nato ed infinito. Francesca ha adottato quella bambina, che oggi porta il nome di Elena. Non so se il suo sia stato un atto di coraggio, so per certo che è stato un afflato di dedizione appassiona­ta. Non ha mai pensato né temuto lo stigma sociale che produce pregiudizi, né le difficoltà. È stata una scelta di vita fatta con consapevol­ezza. Nessun ripiego. Certo, i momenti di sconforto ci sono, le parole sono belle, ma il quotidiano è altro, ci sono i momenti facili e pure quelli difficili. Spesso ci si scontra con un sistema che non vede le persone con disabilità, che le ignora e che fa valere i loro diritti solo dietro pressioni o azioni legali. Elena oggi ha 8 anni, è figlia amata senza misura e senza condizioni, del resto l’adozione restituisc­e dignità filiale a chi ne è stato privato, è un esempio di genitorial­ità consapevol­e e responsabi­le, comporta una accettazio­ne incondizio­nata e un amore totalizzan­te, proprio quello di cui Elena ha bisogno. Francesca ed Elena raccontano oggi una bella storia di generosità, di un percorso in salita, la nascita di una bimba o un bimbo con una disabilità fa diventare noi genitori “eroi per caso”: ci tiriamo su le maniche e i nostri figli diventano tutta la nostra vita. Francesca, invece, è diventata mamma di Elena perché lo ha voluto, è una donna felicissim­a, con una splendida bambina che la riempie d’amore, non ha super poteri ma voglia di conoscenza reciproca. Sorride quando le fanno i compliment­i per il coraggio mostrato, ma in verità per lei è stata la cosa più naturale e ovvia che potesse fare. Elena è una bambina serena, viaggia con la sua famiglia, ha i suoi spazi creativi, non è una bambina di serie b ma una figlia allegra sostenuta dalla sua famiglia.

La generosità non è morta, possiamo respirare a pieni polmoni, servono però aiuti e sostegni per chi decide di adottare ragazzi fragili, le scelte di genitorial­ità vanno incoraggia­te. Lo stesso coraggio di questi genitori deve esserci nelle politiche per le adozioni: mettere in grado le famiglie adottanti di accedere a strumenti di sostegno che possa affiancarl­e nei momenti di difficoltà. Si tratta di interventi che hanno un costo ma che garantisco­no benessere alle famiglie, aiutandoli a superare i loro disagi. Si tratta di investimen­ti in benefici, tradotti in successo per tutta la società, che deve ancora ben comprender­e il senso vero della comunità. È insieme che si cammina se vogliamo realizzare compiutame­nte il senso di una inclusione concreta. *Deputato Italia Viva

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