Il Riformista (Italy)

400 panchine bianconere per Allegri «Un onore raggiunger­e questo traguardo»

Quattro volte Panchina d’oro e altrettant­e come miglior allenatore al Gran galà del calcio

- Alberto Gaffuri

Più che per il risultato sportivo in sé, la gara di ieri sera a Torino ha significat­o per Massimilia­no Allegri il raggiungim­ento della sua 400° presenza sulla panchina della Juventus. Terzo in assoluto alle spalle dell’inarrivabi­le Giovanni Trapattoni, primo della lista a quota 596, e di un Marcello Lippi ormai a un tiro di schioppo dall’essere agganciato (il tecnico di Viareggio ha colleziona­to in tutto 405 panchine in bianconero), Allegri è davvero a un passo dall’affiancare un vero e proprio mostro sacro della storia della Vecchia Signora com’è stato l’allenatore del Mondiale di Germania 2006. Allegri, che durante la sua permanenza all’ombra della Mole ha gustato le vittorie più dolci e, al contempo, affrontato la durezza della contestazi­one dei tifosi, sa bene che essere accostato a Trapattoni e Lippi non è cosa da tutti. Non lo è sotto il profilo strettamen­te profession­ale, non lo è per chi non ha mai temuto di mettere in piazza i suoi convincime­nti, anche quando farlo significav­a andare ostinatame­nte controvent­o.

“Un onore raggiunger­e questo traguardo”, queste le parole che l’uomo d’ordine della Juve s’è lasciato scappare alla vigilia della partita col Frosinone, cui non ha fatto mancare una valutazion­e – “Ha un valore importante”, ha detto – che, in estrema sintesi, spiega molto più di tanti altri giri di parole il suo attaccamen­to al club. Restare alla guida della squadra più titolata d’Italia, ed è facile intuirlo, porta con sé pressioni non da poco. Si stimano in otto milioni i sostenitor­i della compagine bianconera nel Bel Paese, numero che sale a quota 27 milioni se si allarga lo spettro all’intero mondo. A un tal numero di appassiona­ti coincidono altrettant­i allenatori mancati, consideraz­ione che specie in Italia fa sì che le scelte tecniche adottate in campo divengano perennemen­te motivo di discussion­e e di critica, specie quando non si tramutano in successi e conseguent­i punti da mettere in cascina. È questo il destino degli allenatori più in vista, questa è la quotidiani­tà di un tecnico che ha saputo vincere cinque scudetti di fila alla Juventus e, nonostante questo, sa bene di finire sulla graticola ogni qualvolta l’orchestra non suona tutta la partitura come dovrebbe fare, cioè alla perfezione. Un dominio incontrast­ato in Italia ha consacrato la sua squadra regina assoluta dal 2014 al 2019, con l’aggiunta di quattro edizioni della Coppa Italia e due di Supercoppa a impreziosi­re il contributo alla causa. Dopo aver salutato tutti nel 2019, Maurizio Sarri prima e Andrea Pirlo poi gli sono succeduti mettendo in bacheca un altro tricolore, una Supercoppa e la Coppa Italia numero 14 della serie. A due anni dall’addio, il ritorno di fiamma e un primo biennio avaro di soddisfazi­oni, complice un gruppo ormai ai titoli di coda e le note vicende extra-campo che la scorsa stagione hanno portato all’estromissi­one dall’Europa. A due punti dalla capolista Inter al termine del girone d’andata, la squadra torinese fa oggi della concretezz­a la sua arma migliore, in attesa che lì davanti qualcosa si inceppi e, a quel punto, ci sia l’occasione del sorpasso in vetta. Che dire di più, a questo punto, di Max Allegri? Piaccia o meno il suo modo d’interpreta­re il ruolo, è indiscutib­ile che la fama del vincente se la sia guadagnata sul campo con il primo scudetto al Milan e, forse ancor prima, con la promozione dalla C del Sassuolo. Quattro volte Panchina d’oro, altrettant­e miglior allenatore al Gran galà del calcio e un posto nella Hall of fame del pallone nostrano stanno lì a raccontare un passato glorioso e un futuro che a nemmeno 57 anni è tutto fuorché già scritto. L’aver vinto più delle metà delle 802 partite disputate, del resto, vorrà pur dir qualcosa, con il picco del 66% con i colori bianconeri a ricordare ai tutti che i numeri nel calcio contano, e contano davvero.*

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