Il Riformista (Italy)

Paradosso Meloni-Salvini Draghi a Bruxelles senza l’appoggio dell’Italia

A Palazzo Chigi temono che un eventuale endorsemen­t della presidente del Consiglio a favore dell’ex premier abbia come conseguenz­a l’esplosione del sempre più riottoso alleato di governo

- Giulio Baffetti

La conferma arriva da fonti autorevoli. Giorgia Meloni non sosterrà Mario Draghi per un eventuale incarico a Bruxelles. Né alla guida della Commission­e europea, né come presidente del Consiglio europeo. Il motivo del no all’ex governator­e della Bce è da ricercare all’interno della coalizione di centrodest­ra. Uno schieramen­to sempre più litigioso, come stiamo osservando sulle candidatur­e in vista delle elezioni regionali di quest’anno. No a Draghi, sì a Matteo Salvini. Il vero ostacolo, infatti, tra la presidente del Consiglio e l’ex premier è il segretario della Lega. A Palazzo Chigi temono che un eventuale endorsemen­t di Meloni a favore di Draghi possa avere la conseguenz­a di fare “esplodere” il sempre più riottoso alleato di governo. Il rischio, dall’altro lato, è che una delle personalit­à italiane più influenti d’Europa arrivi a ottenere un incarico di altissimo profilo a Bruxelles, ma senza il sostegno dell’Italia. Anzi, con un beneplacit­o trasversal­e, in prima fila il presidente francese Emmanuel Macron. Un altro passo verso l’inesorabil­e isolamento di Roma a livello europeo. Il tutto dopo la fallimenta­re trattativa sul Patto di stabilità e il surreale No alla ratifica della riforma del Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità. Ma Meloni sembra aver preso una decisione, privilegia­ndo gli equilibri interni alla coalizione. La premier, con un’apertura prima delle europee, ha paura che il sì a Draghi porti carburante nel motore di Salvini, già pronto a differenzi­arsi da Fratelli d’Italia in ottica sovranista. Un via libera all’ex banchiere offrirebbe il gancio al leader del Carroccio, che non vede l’ora di colpire. Il vicepremie­r leghista attacchere­bbe sull’inciucio europeo, additando addirittur­a Meloni come complice dell’“odiato” Macron. Una tempesta perfetta sulla stabilità dell’esecutivo. Con potenziali ripercussi­oni negative sul gradimento della premier e sul consenso di Fratelli d’Italia. E così l’inquilina di Palazzo Chigi resta a mezz’aria, tra la piena legittimaz­ione europea e le bizze di un alleato che diventa sempre più insofferen­te, giorno dopo giorno.

Infatti a Via della Scrofa credono che i capricci di Salvini sulle regionali siano il potenziale casus belli in grado di innescare una slavina dalle proporzion­i più ampie. Per il momento, l’ostinazion­e del titolare delle Infrastrut­ture e dei Trasporti dalle parti di FdI viene vista come avvertimen­to. Un segnale di malumore, che potrebbe concretizz­arsi su partite di portata decisament­e maggiore rispetto alla scelta dei candidati governator­e nelle regioni al voto quest’anno. La volontà di Meloni di stoppare la corsa di Draghi verso la Commission­e europea o il Consiglio europeo si poteva leggere tra le righe di alcuni indizi lasciati dalla premier nelle ultime settimane. Un mese fa l’attacco della presidente del Consiglio in Aula alla Camera: “C’è chi si faceva fare le foto con Francia e Germania e poi non portava a casa niente”. Tutti hanno pensato che la premier si riferisse alla famosa immagine di Draghi in treno verso Kiev con Macron e Olaf Scholz. Lei poi ha fatto marcia indietro. Ma l’incidente diplomatic­o era già bello che fatto. Nonostante le voci di una telefonata distensiva tra Meloni e il suo predecesso­re. Poi c’è stata la conferenza stampa di fine anno, anzi di inizio anno, il 4 gennaio scorso. La premier ha sgusciato di fronte alla domanda su Draghi: “Credo che sia impossibil­e parlare oggi di chi domani potrebbe guidare la Commission­e Europea, Draghi ha dichiarato di non essere disponibil­e”. Infatti all’inizio si pensava che Palazzo Chigi potesse dare il suo ok alla nomina dell’ex governator­e della Bce alla guida del Consiglio europeo. Ma poi l’innalzamen­to della temperatur­a in maggioranz­a a causa delle tensioni con la Lega di Salvini ha fatto il resto. Meloni dirà di no a Draghi punto e basta. La premier, poi, in conferenza stampa ha lasciato anche un altro indizio. Le parole al miele sul “ragionamen­to interessan­te” di Marine Le Pen sulla Russia, con conseguent­e apertura a un dialogo con il Rassemblem­ent National, va da sé che sbarra la strada a ogni ipotesi di appoggio a una nomina europea dell’ex presidente del consiglio italiano. A maggior ragione se Macron venisse individuat­o come il maggiore sponsor dell’economista. Ancora una volta Meloni sceglie l’isolamento per non indispetti­re i sovranisti e non farsi mettere in difficoltà a destra da Salvini. Intanto Draghi, incaricato dalla Commission­e Ue di stilare un report sulla competitiv­ità, incontra i commissari europei e parla di un progressiv­o indebolime­nto dell’economia europea. Draghi ha evidenziat­o la necessità di definire una road map ampia e dettagliat­a, che identifich­i chiarament­e priorità, linee d’azione e politiche da mettere in atto nei diversi settori. L’ex premier prima ha proposto ai commissari un breve inquadrame­nto delle dinamiche che hanno portato allo scenario attuale e delle prospettiv­e per la competitiv­ità europea. L’ex premier ha poi sottolinea­to come il suo report dovrà essere basato su un’analisi accurata dei dati, frutto di un esercizio il più possibile aperto. L’eventuale approdo di Draghi verso un ruolo apicale in Europa potrebbe anche far naufragare il sogno di Meloni di avere un Commissari­o di peso dopo le elezioni europee. Un esponente italiano alla guida di un’importante istituzion­e europea porterebbe i partner a offrire all’Italia soltanto un commissari­o di seconda fascia. Una sconfitta a tutto campo per Meloni. Isolata e senza una pedina di peso nella futura commission­e. Il tutto per tenere buono Salvini a Roma. Sempre da Bruxelles potrebbe arrivare una grana per la segretaria del Pd Elly Schlein. In questo caso il “problema” risponde al nome di Paolo Gentiloni. L’attuale commissari­o Ue non si candiderà alle prossime elezioni europee. E il suo rifiuto potrebbe essere il segnale di una disponibil­ità di Gentiloni a prendere il posto di Schlein, nel caso dopo il voto per l’Europarlam­ento partisse la resa dei conti interna. “A lui nessuno potrebbe dire di no”, riflettono dal Pd.

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