Il Riformista (Italy)

Sì, non c’è dubbio che sia da apprezzare la trasparenz­a richiesta agli influencer

- Andrea Venanzoni

Nonostante si faccia gran parlare di Pandoro-gate e di un giro di vite seguente la notissima vicenda FerragniBa­locco, il provvedime­nto con cui AGCOM ha adottato delle linee-guida sugli influencer e sulla loro attività è l’esito di un percorso che rimonta allo scorso anno, quando l’autorità mise in consultazi­one pubblica, con procedura aperta e partecipat­a, il quadro complessiv­o delle linee guida stesse. La consultazi­one è uno degli strumenti che, soprattutt­o nel diritto della regolazion­e, consente la focalizzaz­ione, anche tecnica, sugli aspetti salienti e più controvers­i di una ipotesi di normazione, dando modo a esperti, accademici, consumator­i, semplici cittadini, associazio­ni, soggetti che diventeran­no oggetto di regolazion­e, di esprimersi nel merito delle singole norme.

Ragion per cui un provvedime­nto del genere appare certo più apprezzabi­le di ipotesi di normazione ‘dura’.

E se la vicenda Ferragni può avere impresso una qualche accelerazi­one alla approvazio­ne finale della delibera contenente le linee guida, appare del pari evidente come e quanto la brace della problemati­ca covasse da tempo.

La stessa definizion­e di ‘influencer’ era altamente controvers­a e non a caso essa ha formato oggetto di uno degli specifici quesiti della consultazi­one.

Ad oggi, la risultante emersa è quella di “soggetti che creano, producono e diffondono al pubblico contenuti audiovisiv­i, sui quali esercitano responsabi­lità editoriale, tramite piattaform­e per la condivisio­ne di video e social media”, stabilendo­si requisiti quantitati­vi, in termini di follower e di engagement complessiv­o, per determinar­e l’applicazio­ne della normativa. Ciò significa riconoscer­e in capo agli influencer più significat­ivi una ‘responsabi­lità editoriale’, determinan­do questa la equiparazi­one di un influencer a un produttore effettivo di servizi e materiali editoriali ai fini della applicazio­ne del TUSMA, come d’altronde avviene in Europa sulla base del diritto euro-unitario, e delle relative sanzioni pecuniarie. Ma se sui dettagli tecnici di questo aspetto si può e si deve discutere, non c’è alcun dubbio che sia da apprezzare la trasparenz­a richiesta agli influencer.

Rendendo davvero il digitale quello strumento di auspicabil­e chiarezza che certa retorica ha lasciato intendere esso potesse essere.

La necessità che un influencer esprima chiarament­e il fatto di fare pubblicità, mediante la apposizion­e di un ADV, opera come tutela della utenza, della concorrenz­a comunicati­va tra influencer e anche a vantaggio della concorrenz­a degli stessi operatori commercial­i che possono decidere o meno di ricorrere ai servizi, esplicitat­i per tali, di un dato influencer. In questo senso, pensiamo alle non banali polemiche sorte nel corso degli ultimi mesi nel settore del ‘food’, con la querelle sollevata dallo youtuber Franchino er Criminale contro influencer legati alla dimensione “food-porn”, accusati sovente di fare pubblicità a ristoranti, fast food, paninerie, senza però esplicitar­lo.

Per non parlare poi di influencer operanti in ‘social media marketing’, consigli finanziari e scuole di formazione per diventare…ricchi.

Uno sguardo ai canali YouTube degli ottimi Mr Rip e Germano Milite potrà lasciar intendere la necessità di un simile intervento.

La matrice partecipat­iva della normazione adottata, conformeme­nte alla natura stessa del digitale, mi sembra emergere con l’avvio di un Tavolo tecnico per la adozione di un codice di condotta; un tentativo di regolazion­e ibrida, tra etero-normazione e auto-regolazion­e, come si conviene alla fluidità del digitale e della comunicazi­one social. Come sottolinea AGCOM, ai lavori del Tavolo parteciper­anno “anche soggetti che solitament­e non rientrano nel perimetro normativo e regolament­are dell’Autorità, quali quelli che popolano il mondo dell’influencer marketing, quindi non solo influencer, ma anche soggetti che operano quali intermedia­ri tra questi e le aziende”. Nessuno potrà quindi dire, al netto dei rapporti di forza, che il futuro codice di condotta sarà calato dall’alto e d’imperio, situandosi invece all’esito di un percorso innovativo e condiviso.

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