Arte povera, il Pav di Torino omaggia Piero Gilardi
Quella dell’arte povera è stata una stagione illuminata e intensa, ricca di echi e di significati politici e sociali. Basti pensare alla prima riga di quello che è considerato il manifesto della corrente, l’articolo “Appunti per una guerriglia” siglato da Germano Celant su Flash Art nel 1967: «Prima viene l’uomo, poi il sistema, anticamente era così. Oggi è la società a produrre e l’uomo a consumare. Ognuno può criticare, violentare, demistificare e proporre riforme, deve rimanere però nel sistema, non gli è permesso di essere libero». Parole che non smettono di avere significato - anzi -, testimonianza di una sensibilità anticipatrice dei grandi temi portati proprio con il nuovo millennio. Il movimento, che metteva al centro del proprio fare il rapporto tra uomo e natura proponendo un ritorno all’essenza del gesto artistico in contrapposizione a quella che era la tendenza degli anni Sessanta di fare dell’arte un simbolo di moda, asservita al mercato, ebbe grande successo in particolare tra gli artisti torinesi, tra cui Piero Gilardi (Torino, 1942-2023), fondatore del PAV - Parco Arte Vivente, un luogo che è diventato punto di riferimento per la ricerca e la sperimentazione artistica, con un grande parco di arte ambientale e uno spazio espositivo dove si svolgono attività culturali e laboratoriali in cui l’arte si fa cittadinanza attiva e strumento di consapevolezza verso la società e più in generale verso l’ambiente. Proprio il PAV ha deciso di omaggiare il proprio fondatore nell’anno della sua scomparsa ospitando la grande esposizione “Car Crash. Piero Gilardi e l’arte povera” a cura di Marco Scotini, aperta fino al 28 aprile. La mostra è dedicata agli esordi dell’artista, dal 1964 al 1969, cinque anni cruciali per lo sviluppo delle tematiche della corrente legate a doppio filo all’estetica dell’artista, una relazione che si esaurì con la mostra di Amalfi del 1968 “Arte povera più azioni povere”, dopo la quale l’artista si concentrò sulle sue attività più strettamente politiche. Un momento intenso e prolifico, in cui il lavoro di artista riusciva a declinare l’intenso idealismo politico di Gilardi, la proposta di una visione della vita e dell’uomo differente, che si proponeva di rivoluzionare il mercato anche negli strumenti, inventando materiali e sperimentando percorsi creativi totalmente nuovi. Allestiti su pannelli colorati, fotografie, lavori grafici, documenti - tra cui la ricca corrispondenza con colleghi nazionali e internazionali - oltre naturalmente ai celebri tessuti e tappeti-natura, creazioni in poliuretano espanso che ricostruiscono elementi della natura come sassi, fiori, animali, da usare come “stoffa” per realizzare abbigliamento, tappeti e in generale elementi d’arredo o di design. Le opere sono esempi della produzione di Gilardi che raccontano il suo impegno per realizzare un’arte che faccia parte della vita di ciascuno, che coinvolga lo spettatore, capace di coniugare le necessità umane e l’ambiente. Un’aspirazione che nasce in Gilardi durante una passeggiata lungo il torrente Sangone, nei pressi di Torino, quando l’artista si imbatte in un cumulo di rifiuti abbandonati sull’argine, rendendo evidente in lui la necessità di riconciliare la produzione umana e la natura, in un’intuizione notevolmente anticipatrice di istanze fondamentali: «Io sono il prodotto di un grande periodo per la tecnologia eppure amo la natura. Ci deve essere pure un modo di mettere insieme queste due sensazioni» dichiarò un giovane Gilardi nell’articolo Sette più sette artisti d’oggi le loro opere i loro abiti pubblicato sulla rivista Uomo Vogue nel 1969. Ecco allora che Gilardi comincia a studiare materiali tecnologici capaci però di stimolare attenzione agli elementi dell’ambiente circostante: uno dei suoi lavori più iconici in questo senso è il pouf Sedilsasso del 1968. Il titolo dell’esposizione è mutuato da un progetto mai realizzato per il Piper Pluriclub di Torino - celebre locale progettato da Pietro Derossi e luogo di crossover di arti visive e performative, di cui sono esposte alcune delle sedute colorate - in cui Gilardi aveva in mente l’immagine di un’auto che slitta sul pavimento come metafora delle attività di quegli anni.