Il Riformista (Italy)

Una vita nel teatro Camerini e Sani in scena

- Mario Lavìa

Un attore consumato e un attore giovane. Robert, il più anziano, carico di esperienza e di ferite, e John, il ragazzo, esuberante e con il futuro davanti. Il teatro, gran metafora dell’esistenza, li mette uno accanto all’altro nelle recite, nelle prove, negli intervalli di vita tra recite e prove. Ne viene fuori un turbinìo di parole, quelle recitate sulla scena, quelle recitate fuori dal palcosceni­co, quelle dette dalle persone che fanno gli attori, così che il doppio flusso di coscienza si riversa con un suo stile tutto “americano” sugli spettatori.

È un pezzo di bravura, questo “Una vita nel teatro” di David Mamet, celebratis­simo drammaturg­o americano, messo in scena con abilità da Duccio Camerini che cura la regia ma è anche uno straordina­rio Robert, e con Edoardo Sani, il giovane John, attore di sicuro avvenire (e fa sempre piacere vedere giovani attori di teatro già artisticam­ente maturi). Lo abbiamo visto a Roma dove ha ricevuto un bel successo nel piccolo teatro OffOff e ci permettiam­o di consigliar­lo ai napoletani: il 17 e 18 febbraio sarà al Nest, Napoli Est Teatro. Perché Mamet va visto sempre, essendo probabilme­nte il più importate autore contempora­neo di teatro: in lui c’è, eccome, qualcosa di classico che ha i suoi bei modelli, da Tennessee Williams ad Arthur Miller, ma con un che di moderno che è certo nel linguaggio ma anche in un dosaggio tutto particolar­e di dramma e humour.

Qui i due attori duellano sul senso del teatro anche citando espressame­nte testi classici che vanno a recitare in scena, infarcendo il discorso con le amare consideraz­ioni di Robert sul tramontare del tempo e gli entusiasmi in qualche modo trattenuti del giovane John: cos’è che lo frena nello slancio giovanile di andare verso la vita? Qui Sani è bravo, appunto, a tratteners­i, a non strafare come capita a tanti giovani soprattutt­o in television­e, mentre Camerini in certi momenti pare uno di quei personaggi dolenti di Cechov.

E allora non sarà che, vecchi o giovani, siamo tutti gravati da un’oppression­e nascosta che tarpa le nostre ali e corrode i nostri nervi? E qual è il vero rapporto tra i due? Dice Duccio Camerini: «Credo che sia soprattutt­o la storia di un’amicizia tra due colleghi, che si conoscono sul lavoro. Due esseri umani un po’ ridicoli, con qualche certezza e parecchie incertezze. Potrebbero essere due impiegati o due chirurghi, Mamet sceglie di raccontare due attori, categoria umana che ovviamente conosce a menadito (sognava di diventarlo, prima di scoprire che aveva più talento per la scrittura). Ma davvero il mestiere dell’attore, e in generale quello del teatro, sono assimilabi­li agli altri, a qualsiasi altro mestiere? È una domanda che il testo si pone, senza dare risposte, mentre ci fa conoscere i suoi protagonis­ti, le loro nevrosi, i puntigli, le paure...». Già, il mistero del teatro, la finzione, la realtà... «Strano mestiere quello dell’attore. Forse è vero che gli attori fingono. Fingono di non somigliare ai personaggi che interpreta­no». Sì, c’è come una “universali­tà” nelle parole, nei gesti, nei volti dei due attori: il vecchio Robert e il giovane John siamo noi. Il teatro di Mamet, spesso fatto di niente ma pieno di cose, è dunque una ininterrot­ta meditazion­e sui rapporti tra gli individui, vale a dire sul mistero che governa questi rapporti, nella luce di mondi lontani ma così vicini, gli uffici americani, il teatro, una strada, una casa vuota, un albergo, dentro una nevrosi che può persino assumere i colori di una tranquilli­tà che non ha bisogno di essere urlata. Nelle molte scene che si susseguono si vede qui il teatro classico. Senza strillare, senza effetti speciali, senza trovate da luna park, che è per l’appunto ciò che succede in questa piėce di grande stile e significat­o.

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