Il Riformista (Italy)

Viva l’Italia

- Riccardo Nencini

La nazionale italiana di calcio nacque proprio oggi, centoventi­quattro anni fa. L’Italia di Giolitti si preparava all’impresa di Tripoli e il campionato di calcio era di fatto circoscrit­to alle sole regioni del nord. E infatti le padrone del gioco sono tre squadre settentrio­nali, tutte dell’Italia nord occidental­e. Vincono più volte i primi campionati di serie A il Genoa e la Pro Vercelli, una volta addirittur­a il Casale, cittadina di qualche migliaio di abitanti, con incursioni in solitudine di Milan e Juventus. Un altro mondo. L’Italia era nata da mezzo secolo e aveva un senso parlare di ‘nazionale’, ma siccome scarseggia­vano gli allenatori e mancavano esperti di football, per formare la squadra si ricorse al contributo degli arbitri. Chi meglio di loro conosceva i calciatori? Nessuno. La prima selezione, divisa bianca con stemma sabaudo, ebbe fortuna: 15 maggio 1910, Arena Civica di Milano, 6 a 2 alla Francia, tripletta di Pietro Lana detto ‘Fantaccino’. Capitano Francesco Cali’, figlio di un produttore di botti, siciliano. Dopo che i pirati hanno devastato l’azienda di famiglia, i Cali’ si rifugiano in Svizzera dove Francesco inizia a giocare. La sua fortuna.

La maglia cambia colore nel gennaio del 1911, nella partita contro l’Ungheria. Maglia azzurra, il colore di casa Savoia, scudetto rosso con croce bianca sul petto. Il colore che non è più cambiato salvo lavorare sulle sfumature. Il primo grande allenatore, Vittorio Pozzo, approda alla nazionale ai giochi olimpici del 1912. Fatti fuori dalla Finlandia, Pozzo si dimette e torna a lavorare alla Pirelli. Un bell’esempio che non ricordo abbia avuto frotte di eredi: dimettersi a seguito di una sconfitta e tornare alla scrivania come il signor nessuno. Poi guerra in trincea da tenente e di nuovo in campo per le olimpiadi di Parigi, nel 1924, l’anno del Tour vinto da Ottavio Bottecchia. E qui comincia davvero l’epopea di Pozzo. E’ l’unico allenatore ad aver vinto due coppe del mondo, nel 1934 e nel 1938, una gloria italiana senza altri aggettivi. Di lui Giorgio Bocca scrisse: “Un tipo di alpino e salesiano arrivato chissà come alla guida degli azzurri senza essere ne’ un allenatore di profession­e ne’ un burocrate dello sport ma sempliceme­nte un piemontese. Uno di quelli per cui la parola sacra è ‘el travai’ “.

Pozzo fu un grande innovatore. Si deve a lui la geometria calcistica di due terzini arretrati e di un giocatore centrale posto davanti alla difesa, in mezzo ai due mediani. Sarà proprio quel ‘calciatore centrale’ a sviluppare la funzione di centromedi­ano metodista che ha fatto la fortuna di molte squadre in Italia e all’estero. Aveva inventato l’antenato del regista.

Dei tanti che si sono succeduti forse il tecnico che gli somiglia di più e’ Enzo Bearzot, anch’egli campione del mondo. Lavoro duro, poche parole, vita modesta.

Un altro calcio, dirai, fatto di onore e di stipendi a misura. Nessuna nostalgia, il mondo è cambiato, e però.

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