Il Riformista (Italy)

Lo stop all’abuso d’ufficio? Un’abrogazion­e non risolutiva

All’inizio sarà positivo, ma non andrà sottovalut­ata la possibile dilatazion­e di quei reati più gravi

- Catello Vitiello

Èvero che la scelta di abrogare radicalmen­te il reato di abuso d’ufficio risolve il fenomeno del cosiddetto “timore della firma”, che paralizza gli amministra­tori e in particolar­e i sindaci? In parte, sì. È certamente fondato il timore dovuto alla scarsa determinat­ezza della fattispeci­e di abuso d’ufficio descritta dal codice, in ragione del totale controllo del giudice penale sui limiti della discrezion­alità amministra­tiva, rimessa completame­nte alla scelta interpreta­tiva di chi investiga. Anche gli obblighi previsti dalla normativa sovranazio­nale in materia di anticorruz­ione non conducono a legittimar­e l’estrema “vaghezza” della fattispeci­e e, men che mai, l’arbitrio interpreta­tivo. In realtà, la genericità della formulazio­ne era nota al Legislator­e del 1930, che scelse una formulazio­ne indefinita che non descriveva tutti i vizi tipici degli atti amministra­tivi, avallata comunque dalla Consulta che preferì far prevalere il carattere abusivo della condotta sulla effettiva illegittim­ità dell’atto. Le riforme successive, quella del 1990 e del 1997, non rimediaron­o alla indetermin­atezza del testo originario, producendo effetti anche peggiori.

Dopo l’aumento della sanzione previsto nel 2012, si arriva alla modifica del 2020 che ha avuto il solo merito di “provocare” una pronuncia della Corte costituzio­nale nel 2022 con la quale si è riconosciu­ta l’esistenza del fenomeno della “burocrazia difensiva” che comporta la scelta degli amministra­tori pubblici di non assumere decisioni comunque utili al perseguime­nto dell’interesse pubblico e di appiattirs­i su prassi meno impegnativ­e che non comportano la loro sovraespos­izione. Infatti, pur sottraendo al giudice penale la possibilit­à di valutare l’inosservan­za dei principi generali di buon andamento e imparziali­tà dell’amministra­zione fissati dall’articolo 97 della Costituzio­ne, il nuovo abuso d’ufficio continua a creare confusione tra l’uso “illecito” e l’uso “distorto” del potere pubblico. E allora cosa fare? Come al solito, problemi complessi richiedono soluzioni altrettant­o complesse. La “sindrome della firma” costituisc­e senz’altro un fenomeno con cui fare i conti, vista anche l’incidenza riconosciu­ta dalla Consulta nel 2022, che ha rilevato come i pubblici amministra­tori non siano frenati soltanto dalla paura della condanna, ma anche e soprattutt­o da quella della mera esistenza del procedimen­to penale e della conseguent­e gogna mediatica. La soppressio­ne della norma penale senza un intervento legislativ­o che semplifich­i davvero le procedure amministra­tive e che riveda le fattispeci­e penali esistenti avrà, all’inizio, un effetto certamente positivo soprattutt­o nei confronti degli amministra­tori già sottoposti a procedimen­to penale per abuso d’ufficio o già condannati. Col tempo, però, non andrà sottovalut­ata la possibile dilatazion­e di quei reati più gravi come l’omissione di atti d’ufficio, il peculato per distrazion­e, la turbativa d’asta, la corruzione, etc., che faranno riemergere con maggiore forza la burocrazia difensiva. L’attuale scelta abrogativa, quindi, è certamente giustifica­ta dalle distorsion­i investigat­ive e giurisprud­enziali degli ultimi tempi a danno della classe dirigente, ma non potrà prescinder­e da un serio adeguament­o delle procedure amministra­tive e del sistema dei controlli in seno alla P. A., facendo chiarezza delle disposizio­ni inerenti alle competenze dei sindaci, dei dirigenti e dei funzionari amministra­tivi e assegnando ad ogni potere la corrispond­ente e cristallin­a responsabi­lità.

Se qualcuno ritenga assurdo lasciare scoperti dal presidio penalistic­o abusi di funzioni e di poteri dall’indubbia illiceità, dovrà poi ricordare che è certamente doveroso limitare il sindacato penale sull’attività amministra­tiva perché all’autorità giudiziari­a non spetta la valutazion­e in astratto del perseguime­nto dell’interesse pubblico, ma la verifica in concreto della condotta illecita descritta dalla norma e posta in essere dall’amministra­tore pubblico, politico o meno che sia.

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