Il Riformista (Italy)

Medio Oriente, si alza il livello dello scontro

- Lorenzo Vita

Il Medio Oriente è in fiamme. E preoccupa sempre di più Washington ma anche i suoi alleati in Europa. L’attacco su Erbil, rivendicat­o dalla Guardie della rivoluzion­e iraniana, segna un ulteriore aumento del livello dello scontro. Le forze iraniane hanno comunicato che i loro missili avrebbero colpito una base del Mossad, mentre nelle stesse ore, al di là del confine siriano, altri missili colpivano quella che per Teheran era una base dello Stato islamico. “Missili balistici sono stati usati per distrugger­e i centri di spionaggio e di raduno dei gruppi terroristi­ci anti-iraniani nella regione”, hanno scritto i Pasdaran, e hanno definito questo attacco come “una risposta ai recenti atti malvagi del regime sionista nel martirizza­re i comandanti dell’Igrc (i Guardiani della rivoluzion­e, n.d.r.) e della resistenza”. Un segnale inequivoca­bile, che inquieta il governo iracheno – in ansia per il rischio di vedere il proprio Paese coinvolto nello scontro – così come quello degli Stati Uniti. Il dipartimen­to di Stato Usa, attraverso il portavoce Matthew Miller, ha condannato “gli sconsidera­ti raid missilisti­ci” contro il territorio iracheno confermand­o il sostegno dell’amministra­zione Biden dalla stabilità del Paese. Lì dove sono presenti le forze Usa e della coalizione internazio­nale anti Daesh. Ma il pericolo è soprattutt­o legato a possibili strike contro le basi statuniten­si, come dimostrato anche dall’abbattimen­to di alcuni droni nei pressi della base di Erbil.

Più a sud, sulle coste del Mar Rosso e del Golfo di Aden, continua poi a destare preoccupaz­ione la questione Houthi. Ieri un cargo greco ma battente bandiera maltese, la Zografia, è stato colpito da un missile partito dallo Yemen mentre seguiva la rotta dal Vietnam verso Israele. L’imbarcazio­ne non ha riportato gravi danni né feriti. Ma l’attacco prova che la guerra degli Houthi per destabiliz­zare la navigazion­e e bloccare il traffico in direzione dello Stato ebraico non si ferma. E questo nonostante Washington e Londra abbiano proseguito anche ieri i loro raid mentre i governi del Vecchio Continente trattano sulla missione navale dell’Unione europea. Una notizia positiva è arrivata dal Qatar, che sembra abbia dato il via libera alle proprie navi cariche di gas naturale liquefatto per riprendere la navigazion­e. Ma nelle stesse ore è iniziata a circolare la notizia dello stop ordinato dalla Shell alle proprie navi. Segno che la tensione in quelle acque non riguarda solo le petroliere qatariote. Il governo di Doha si è rivolto di nuovo a tutti gli attori diplomatic­i in campo nella crisi mediorient­ale. Majid bin Mohammed Al-Ansari, portavoce del ministero degli Esteri, ha affermato che secondo il Qatar “ciò che sta accadendo nel Mar Rosso rappresent­a un pericolo per la navigazion­e internazio­nale e non può essere affrontato come una questione separata dalla guerra a Gaza e dai suoi sviluppi”. E questo punto di vista assume particolar­e rilevanza considerat­o anche il ruolo che il Paese del Golfo ha nella mediazione tra Hamas e Israele sia sulla tregua sia per quanto riguarda la liberazion­e degli ostaggi nelle mani delle fazioni palestines­i. Proprio per aumentare la pressione diplomatic­a su questo punto, il presidente israeliano Isaac Herzog ha scelto di sbarcare oggi a Davos nell’ambito World Economic Forum insieme a una delegazion­e di parenti dei rapiti.

Nel frattempo, mentre non si ferma il pressing della comunità internazio­nale per aumentare gli aiuti umanitari alla popolazion­e palestines­e, continua la guerra delle Israel defense forces contro Hamas. L’operazione militare si concentra sulla roccaforte di Khan Younis, mentre diminuisce l’intensità a nord dell’exclave. Ma quello che preoccupa gli analisti è anche ciò che resta della forza del gruppo palestines­e. Secondo il New York Times, sotto la Striscia vi sono tra i 550 e i 700 chilometri di tunnel. E questo indica quanto sia complessa e potenzialm­ente lunga la guerra di Israele contro le milizie che controllan­o quel territorio.

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