Gli atleti israeliani nel mirino della Turchia
Ha fatto ritorno a casa sua, in Israele, il calciatore Sevgi Yehezkel, dopo essere stato rilasciato su cauzione in attesa di giudizio e dopo una conversazione telefonica avvenuta tra il capo dell’intelligence turca (MIT), Ibrahim Kalin, e quello dello Shin Bet, Ronen Bar. Come è noto, nonostante la grave rottura diplomatica che si è determinata tra i due paesi dopo il 7 ottobre, i rispettivi servizi segreti continuano a comunicare e spesso anche a cooperare per risolvere eventuali crisi. L’attaccante israeliano dell’Antalyaspor, club della Süper Lig turca, è stato incriminato per aver voluto dedicare il suo goal alle vittime del pogrom di Hamas in Israele. Nel match con il Trabzonspor, dopo aver segnato una rete, è corso a mostrare al pubblico la scritta “100 giorni. 7.10” impressa sulla sua fasciatura al polso sinistro. Il messaggio faceva riferimento ai 100 giorni dal massacro di Hamas nei kibbutz israeliani avvenuto il 7 ottobre e ai 100 giorni di prigionia di circa 130 ostaggi, civili, donne e bambini innocenti, che sono ancora nelle mani dei terroristi palestinesi. L’Antalyaspor lo ha radiato affermando che il calciatore “ha violato i valori della Turchia”. Incriminato per “incitamento all’odio pubblico e all’ostilità”, Yehezkel si è difeso dicendo al Procuratore che non era sua intenzione incitare o provocare nessuno e di non essere favorevole alla guerra. Anche il Başakşehir Club di Istanbul, tanto caro al presidente turco che lo aveva rifondato nel 2014, ha annunciato di aver avviato un’indagine disciplinare nei confronti di un suo calciatore israeliano, Eden Karzev, colpevole di aver condiviso una locandina sui social media con la scritta “Portateli subito a casa”, in solidarietà ai circa 130 ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza. In un comunicato, il club ha affermato che Karzev “ha violato le regole condividendo un post che va contro la sensibilità della Turchia” e al giocatore ha chiesto di fornire una difesa scritta per quella sua iniziativa ritenuta “illegale”.
Tali manifestazioni fanno parte di una più ampia campagna condotta dagli atleti israeliani in tutto il mondo che da novembre chiedono il rilascio dei loro connazionali. Tutto ciò è benzina sulle relazioni tra Turchia e Israele. Ankara è uno dei pochi paesi ad aver sostenuto ufficialmente l’accusa di “genocidio” avanzata dal Sudafrica contro lo Stato ebraico presso la Corte internazionale di giustizia, le cui udienze sono iniziate la scorsa settimana. Calcio e politica in Turchia hanno spesso camminato sul medesimo binario e lo stesso Erdoğan è noto per l’utilizzo di metafore calcistiche nei suoi discorsi. Il leader turco diffonde la sua propaganda in ogni ambito, anche in quello sportivo. Il presidente del club dell’Antalyaspor è anche il vice direttore di Müsiad ad Antalya, l’associazione degli industriali turchi, conservatrice-religiosa, vicina all’Akp di Erdoğan. In Turchia, per alcuni imprenditori possedere una squadra di calcio o un canale di informazione è considerato vantaggioso per ottenere favori dal governo. “Ti favorisco negli appalti pubblici e tu non parli male di me”. Lo stato ha sempre sostenuto gli imprenditori addomesticati nei vari settori del turismo, delle costruzioni, del settore minerario, dell’energia e dello sport, spesso pretendendo anche che il personale, non solo manageriale, sia allineato alla visione del governo e a quel che vuole propagandare. Erdoğan usa spesso il megafono per la sua retorica infuocata, senza applicare però alcuna sanzione. Israele resta il decimo maggiore acquirente di beni turchi e la 29ª maggiore fonte di importazioni della Turchia. Il commercio turco-israeliano si è sempre dimostrato immune alle turbolenze diplomatiche, anche gravi, che si sono registrate in 75 anni di relazioni. Lo stesso presidente è stato molto chiaro sulla necessità di mantenere su binari sicuri le relazioni economico-commerciali con lo Stato ebraico nell’interesse della nazione. La difesa di Gaza e di Hamas sta indubbiamente facendo aumentare la popolarità di Erdoğan all’interno della regione islamica e nella sua diaspora in Occidente anche se contemporaneamente sta approfondendo il divario della Turchia con gli Usa e gli altri paesi occidentali. Ma la retorica antisraeliana fornisce a Erdoğan un’utile distrazione in patria dove i turchi stanno soffrendo una delle peggiori recessioni economiche nella storia della Repubblica, con un’inflazione al consumo oltre il 62%, con una disoccupazione e un impoverimento della classe media che hanno raggiunto livelli record e ciò torna utile con le cruciali elezioni municipali alle porte per la riconquista di Istanbul e Ankara.