Iowa, cuore dell’America dimenticata
L’esplosione elettorale connessa alla scarsa affluenza alle urne incorona Donald Trump assoluto trionfatore nelle primarie repubblicane dell’Hawkeye State
Iowa, titolo del secondo album in studio degli Slipknot. Concentrato rabbioso e rugginoso di una solitudine abissale, di un risentimento determinato dall’asfissiante sensazione di essere rimasti intrappolati nel cuore del nulla.
Iowa, esplosione elettorale che simmetricamente connessa a scarsa affluenza alle urne incorona Donald Trump, assoluto trionfatore nelle primarie repubblicane dello Stato. Un risultato che straccia le ambizioni di Nikki Haley e di Ron DeSantis e costringe al passo indietro Vivek Ramaswamy, il quale per parte sua ha già dichiarato che sosterrà Trump.
Panico tra gli analisti, terrore per il caos mondiale che verrebbe determinato dal ritorno di Trump alla Casa Bianca. Pochi che si interroghino però sul senso profondo, profondo come questa America dimenticata, esclusa, vilipesa, colma di rancore e di povertà, irrisa dai grandi intellettuali, da Washington, o dai, per dirla con le parole della ormai celebre canzone di Oliver Anthony, ‘Rich Men North of Richmond’, così lontana da quei college dove sfilano figli di papà agghindati come guerriglieri jihadisti. L’America rurale. L’America un tempo industriale. L’America decaduta. L’America periferia di se stessa. L’America che ha smarrito la propria anima e che vive in un mondo nuovo senza riuscire a comprenderlo. L’America degli Appalachi. L’America della Rust Belt. L’America dei capannoni su cui monta impetuosa una polvere densa, che odora di notte e di tragedia. L’America di J. D. Vance, delle elegie, del filo spinato e della povertà.
La mente si immerge nella palude dei ricordi e dei racconti di ‘Questa terra’, abissale romanzo di Andrew Krivak sulla vita negli Appalachi, o tra le pagine di ‘Ruggine americana’, di Philipp Meyer, romanzo definitivo sulla Rust Belt, o quelle di ‘Ohio’, di Stephen Markley, o nei fotogrammi del vivido e raggelante film ‘North Country – storia di Josey’.
Un americano che viva e popoli le terre descritte da queste opere ha davvero qualcosa in comune con un ricco borghese di Los Angeles o di Chicago? Difficile davvero poterlo anche solo pensare. Il lato rovesciato e oscuro dell’America, in cui una sempre più ampia parte della popolazione non conosce altra distinzione se non quella tra ricchi e poveri, ribolle sotto la cenere.
L’America intrisa di una rabbia sorda, crescente, che sembra levarsi dal fondo di un abisso e che promette, attraverso l’arcigno volto di Donald Trump, di scompaginare il sistema istituzionale americano, contro l’altra America, quella autoreferenziale, ricca, paludata, woke, intessuta di grandi centri universitari, narrazioni compiaciute a base di una giustizia sociale quasi tribale, una finanza immateriale che ha condannato a morte le fabbriche e le industrie un tempo operose e un potere distante, quasi irreale. L’America contemporanea non è mai stata così tanto drammaticamente divisa.
In questa America, dove le fabbriche chiuse sono divenuti teatri della ruggine e della miseria, l’Ucraina e Gaza e la geopolitica non sono il problema quotidiano, molto più prosaicamente consistente nella sopravvivenza. Con un Trump eletto come simbolo di un caos salvifico, come l’incarnazione della loro stessa rabbia.
Assediato giudiziariamente e a cui sempre più Stati finiscono per negare, in apparenza, agibilità politica, riconoscendone delle responsabilità nelle violenze scatenate a Capitol Hill, ma che proprio attraverso questo stillicidio di divieti e impedimenti lo rendono simbolo perfetto. La deriva giudiziaria della campagna elettorale frantuma ancora di più la tenuta unitaria del corpo sociale americano, già drasticamente diviso per la presenza ormai di tante, diverse Americhe.
Qui non c’è più alcuna cittadinanza, nessun senso di appartenenza, la politica è evaporata come brina al mattino perché mentre ci si accapigliava per stabilire quanto osceno fosse il populismo, il popolo, il ceto produttivo, la borghesia sprofondata nella miseria, gli agricoltori e gli ex operai si incamminavano verso l’orizzonte, con la loro solitudine e la loro miseria in spalla, lasciando politici e intellettuali a pontificare in una dorata autoreferenzialità.
Pronti a presentare un conto assai salato.