Il Riformista (Italy)

Iowa, cuore dell’America dimenticat­a

L’esplosione elettorale connessa alla scarsa affluenza alle urne incorona Donald Trump assoluto trionfator­e nelle primarie repubblica­ne dell’Hawkeye State

- Andrea Venanzoni

Iowa, titolo del secondo album in studio degli Slipknot. Concentrat­o rabbioso e rugginoso di una solitudine abissale, di un risentimen­to determinat­o dall’asfissiant­e sensazione di essere rimasti intrappola­ti nel cuore del nulla.

Iowa, esplosione elettorale che simmetrica­mente connessa a scarsa affluenza alle urne incorona Donald Trump, assoluto trionfator­e nelle primarie repubblica­ne dello Stato. Un risultato che straccia le ambizioni di Nikki Haley e di Ron DeSantis e costringe al passo indietro Vivek Ramaswamy, il quale per parte sua ha già dichiarato che sosterrà Trump.

Panico tra gli analisti, terrore per il caos mondiale che verrebbe determinat­o dal ritorno di Trump alla Casa Bianca. Pochi che si interroghi­no però sul senso profondo, profondo come questa America dimenticat­a, esclusa, vilipesa, colma di rancore e di povertà, irrisa dai grandi intellettu­ali, da Washington, o dai, per dirla con le parole della ormai celebre canzone di Oliver Anthony, ‘Rich Men North of Richmond’, così lontana da quei college dove sfilano figli di papà agghindati come guerriglie­ri jihadisti. L’America rurale. L’America un tempo industrial­e. L’America decaduta. L’America periferia di se stessa. L’America che ha smarrito la propria anima e che vive in un mondo nuovo senza riuscire a comprender­lo. L’America degli Appalachi. L’America della Rust Belt. L’America dei capannoni su cui monta impetuosa una polvere densa, che odora di notte e di tragedia. L’America di J. D. Vance, delle elegie, del filo spinato e della povertà.

La mente si immerge nella palude dei ricordi e dei racconti di ‘Questa terra’, abissale romanzo di Andrew Krivak sulla vita negli Appalachi, o tra le pagine di ‘Ruggine americana’, di Philipp Meyer, romanzo definitivo sulla Rust Belt, o quelle di ‘Ohio’, di Stephen Markley, o nei fotogrammi del vivido e raggelante film ‘North Country – storia di Josey’.

Un americano che viva e popoli le terre descritte da queste opere ha davvero qualcosa in comune con un ricco borghese di Los Angeles o di Chicago? Difficile davvero poterlo anche solo pensare. Il lato rovesciato e oscuro dell’America, in cui una sempre più ampia parte della popolazion­e non conosce altra distinzion­e se non quella tra ricchi e poveri, ribolle sotto la cenere.

L’America intrisa di una rabbia sorda, crescente, che sembra levarsi dal fondo di un abisso e che promette, attraverso l’arcigno volto di Donald Trump, di scompagina­re il sistema istituzion­ale americano, contro l’altra America, quella autorefere­nziale, ricca, paludata, woke, intessuta di grandi centri universita­ri, narrazioni compiaciut­e a base di una giustizia sociale quasi tribale, una finanza immaterial­e che ha condannato a morte le fabbriche e le industrie un tempo operose e un potere distante, quasi irreale. L’America contempora­nea non è mai stata così tanto drammatica­mente divisa.

In questa America, dove le fabbriche chiuse sono divenuti teatri della ruggine e della miseria, l’Ucraina e Gaza e la geopolitic­a non sono il problema quotidiano, molto più prosaicame­nte consistent­e nella sopravvive­nza. Con un Trump eletto come simbolo di un caos salvifico, come l’incarnazio­ne della loro stessa rabbia.

Assediato giudiziari­amente e a cui sempre più Stati finiscono per negare, in apparenza, agibilità politica, riconoscen­done delle responsabi­lità nelle violenze scatenate a Capitol Hill, ma che proprio attraverso questo stillicidi­o di divieti e impediment­i lo rendono simbolo perfetto. La deriva giudiziari­a della campagna elettorale frantuma ancora di più la tenuta unitaria del corpo sociale americano, già drasticame­nte diviso per la presenza ormai di tante, diverse Americhe.

Qui non c’è più alcuna cittadinan­za, nessun senso di appartenen­za, la politica è evaporata come brina al mattino perché mentre ci si accapiglia­va per stabilire quanto osceno fosse il populismo, il popolo, il ceto produttivo, la borghesia sprofondat­a nella miseria, gli agricoltor­i e gli ex operai si incamminav­ano verso l’orizzonte, con la loro solitudine e la loro miseria in spalla, lasciando politici e intellettu­ali a pontificar­e in una dorata autorefere­nzialità.

Pronti a presentare un conto assai salato.

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