Il Riformista (Italy)

A Davos con l’elmetto

È la prima volta che l’esclusivo simposio della finanza si trova a fronteggia­re non una sola guerra ma due Focus sull’Ucraina

- Paolo Guzzanti

ADavos non si è parlato quasi d’altro che di Ucraina dopo l’intervento di Volodymyr Zelensky con la sua eterna T-shirt verde militare che ha detto: “È Putin il padre di tutte le guerre ed è lui l’uomo da battere se il mondo vuole esistere in pace. Per fermarlo, basta dare a noi ucraini la supremazia aerea così come già accade sul Mar Nero. Lui e lui soltanto è l’anima della guerra e il nemico della pace”. Standing ovation dell’assemblea anche al ministro degli esteri ucraino Dmyrto Kuleba. Per gli americani ha parlato l’ex segretario di Stato Antony Blinken che ha detto e ripetuto che non esistono i presuppost­i per un cessate il fuoco in Ucraina. Il Papa non ha mancato di ricordare che le guerre sono figlie delle ingiustizi­e del mondo in attesa di essere riparate. Quella di Davos non è una succursale delle Nazioni Unite ma l’associazio­ne di tutti gli uomini più ricchi e delle multinazio­nali che fatturano più di cinque miliardi di profitti. Ieri sera hanno parlato il presidente francese Macron, l’olandese Mark Rutte e lo spagnolo Pedro Sanchez, in attesa del nuovo presidente argentino Milei ma già al mattino era stato diffuso l’irritato lamento del segretario generale dell’Onu Guterres: “Ho telefonato al primo ministro israeliano Netanyahu ma non mi ha mai richiamato”.

È la prima volta che l’esclusivo simposio della finanza si trova a fronteggia­re non una sola guerra come l’anno scorso ma due, mentre si apre un fronte tra Iran e Pakistan dove sono arrivati missili iraniani. Si è parlato naturalmen­te anche di crisi climatica con la previsione di quindici milioni di morti entro il 2050, ma il tema della guerra russa ha dominato, con la guerra nel Mar Rosso e gli ultimi attacchi aerei americani mentre a Gaza tutto è come sempre e Israele è diviso dalle manifestaz­ioni dei parenti degli ostaggi nelle mani di Hamas. Nelle sale di Davos si sono incontrati Zelensky e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenber­g, con nuova crisi di nervi al Cremlino dove Putin dava degli “imbecilli” agli ucraini che “hanno avuto la loro occasione di negoziare e l’hanno persa”. Erano appena iniziati i lavori quando sono arrivate le documentaz­ioni degli attacchi notturni russi a Kharkiv e Odessa e poi dello scambio di intimidazi­oni e minacce fra Islamabad e Teheran insieme alle notizie sugli ultimi raid americani contro le rampe iraniane degli Houthi e la scomparsa di due sommozzato­ri americani del corpo speciale dei Seal in missione segreta in Iran. Era il giorno delle crisi di nervi e ieri si aggiunta la Cina la cui popolazion­e diminuisce minacciand­o il crollo del mercato interno.

L’Europa si è presentata con il volto di Ursula Von der Leyen che ha affisso il suo manifesto dopo aver incontrato Zelensky: se l’America mollerà l’Ucraina, l’Europa non l’abbandoner­à mai. Ma Orban ha preannunci­ato il suo veto. Emmanuel Macron ha portato il volto di una Francia liberale che si è appena data un primo ministro giovane e gay. Macron spera di far cadere Putin e in questo la pensa diversamen­te da Joe Biden terrorizza­to dall’idea di una Russia dilaniata da una catastrofe post-imperiale. Macron segue una visione gollista di un’Europa dall’Atlantico agli Urali salvando la Russia bianca per inglobarla nell’Unione sotto una leadership francese con al fianco una Russia francofona come nella Mosca di Tolstoj. Molti gli accenni al focolaio nei Balcani con una Serbia filorussa che non dimentica le bombe della NATO a Belgrado: Putin è pronto a giocare la carta serba come fece la Russia zarista accendendo le polveri della Prima guerra mondiale, un panorama in cui si specchia Davos e che ha molte analogie con quello dal 1920, quando il giovane economista britannico Maynard Keynes fuggì dalle follie del trattato di Versailles per ritrovarsi nel 1944 nella cittadina di Bretton Woods non lontana da Boston per disegnare il futuro del mondo con l’americano Harry Dexter White. Allora vinse il dollaro garantito alla pari con l’oro, ma oggi a Davos nessuno è in grado di garantire nulla.

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