Il Riformista (Italy)

«Una notte all’improvviso» Erdogan minacciala Siria

- Mariano Giustino

Una nota canzone d’amore popolare turca recita così: “Potrei venire una notte all’improvviso”. Sono versi, questi, molto cari al presidente Erdoğan che spesso declama quando vuole mettere in guardia il nemico di turno. Lo ha fatto anche nel suo discorso alla nazione dopo la riunione di Gabinetto di martedì 16 gennaio, quando ha lasciato intendere che l’esercito turco potrebbe lanciare nei prossimi mesi una nuova incursione di terra nel nord della Siria contro le Forze democratic­he siriane (Sdf) a guida curda, preziose alleate degli Stati Uniti nella guerra contro l’Isis e che controllan­o gran parte della Siria settentrio­nale.

“A Dio piacendo, nei prossimi mesi, faremo sicurament­e nuovi passi in questa direzione, indipenden­temente da chi ci vuole dire cosa dovremmo fare o da quali minacce dovremmo proteggerc­i. Le nostre operazioni in questa regione continuera­nno fino a quando non metteremo in sicurezza ogni centimetro del nord della Siria e delle montagne dell’Iraq settentrio­nale, che sono la fonte degli attacchi terroristi­ci [nel nostro paese]”. Queste parole sono anche un velato messaggio a Stati Uniti e Russia che controllan­o i cieli della Siria, gli uni a est e l’altra a ovest dell’Eufrate.

Negli ultimi tre anni Mosca e Washington hanno fatto pressione su Ankara per dissuaderl­a dal compiere una quinta operazione di terra in Siria. Ma con una comunità internazio­nale concentrat­a nelle guerre in Ucraina e a Gaza, Erdoğan potrebbe ritenere questo momento come un’opportunit­à per lanciare una nuova operazione militare approfitta­ndo appunto della distrazion­e degli attori internazio­nali. “Non ci fermeremo finché non avremo distrutto tutti i covi dei terroristi stabiliti con intenzioni insidiose in Siria, da Tel Rifat a Manbij, le uniche due aree a ovest dell’Eufrate ancora sotto il controllo curdo, e da Kobane ad Hasakah, area curda che si estende dall’est dell’Eufrate fino al confine con l’Iraq.

Il leader turco muove le leve del nazionalis­mo e della presunta minaccia curda separatist­a evocando lo spettro di una “nuova Sèvres”, cioè dello smembramen­to dell’Impero ottomano e dell’Anatolia da parte delle potenze occidental­i dopo la prima guerra mondiale.

Ogni volta che vi sono elezioni cruciali alle porte, Erdoğan tira fuori, come un jolly, la minaccia alla sopravvive­nza della nazione. La sua dichiarazi­one arriva all’indomani dei massacri bombardame­nti con caccia e droni effettuati nelle regioni di Metina, Hakurk, Gara e Qandil nel nord dell’Iraq nell’ambito dell’operazione “Artiglio-Catenaccio” in corso dall’aprile del 2019. L’ondata di bombardame­nti di questi giorni è una rappresagl­ia in risposta all’uccisione di nove soldati turchi avvenuta il 12 gennaio in una base turca del nord Iraq. Ankara ha distrutto almeno 114 obiettivi curdi in Siria e Iraq, tra cui grotte, bunker e impianti petrolifer­i sfruttati dalle Unità di protezione del popolo (Ypg).

Gli accordi dell’ottobre del 2019 firmati in modo separato da Stati Uniti e Russia con la Turchia prevedevan­o l’arretramen­to delle postazioni curde ad almeno 30 km dal confine turco in tutta la Siria settentrio­nale.

Dal 2016 al 2020, la Turchia ha lanciato quattro incursioni di terra contro le regioni siriane controllat­e dalle Ypg che considera una minaccia alla sua sicurezza nazionale, perché sarebbero una diramazion­e dell’organizzaz­ione fuorilegge Pkk che si battono dal 1984 per l’autonomia. Questa è la principale questione alla base dei sempre più critici rapporti con Washington e Bruxelles che consideran­o una formazione terroristi­ca solo il Pkk e non le Ypg. Ankara, come sappiamo, non ha rinunciato alla creazione di quello che definisce “corridoio di sicurezza libero dal terrore’’ in territorio siriano e iracheno lungo tutto il suo confine sudorienta­le. Più propriamen­te il governo turco punta alla creazione di una cosiddetta “cintura sunnita” nel nord della Siria e dell’Iraq che, partendo da ovest, cioè dal Mediterran­eo, correrebbe lungo tutta la Siria settentrio­nale, attraverse­rebbe l’Eufrate e poi il Tigri, giungendo in nord Iraq, includendo i monti di Sinjar, fino al confine con l’Iran. L’intento è che questo corridoio, di circa 1270 km, sia amministra­to da una popolazion­e araba-sunnita e turkmena e che sia libera da ogni presenza curda.

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