Sì, stiamo aggiungendo un cognome senza togliere nulla al padre
Mater semper certa est, pater autem incertus. I latini migliaia di anni fa riflettevano su come la madre di un bambino fosse sempre certa, meno certo invece era il padre. Ai tempi dei latini non c’era il test del Dna e nemmeno Instagram e Facebook che messi nelle mani di un ragazzino di dieci anni, in meno di due ore, svelerebbero ogni tipo di informazione: dove era quel giorno a quella determinata ora, con chi, cosa hanno ordinato a cena e persino se l’amante ha le unghie vere o finte, e di sicuro sarebbero in grado di stabilire pure di chi è il figlio. No, nulla di tutto questo c’era ai tempi dei latini. Però era ben radicata la consapevolezza della centralità della madre. La riflessione viene naturale, se la madre è certa (più del padre, ma ammesso che anche il padre sia proprio certo) porta in grembo per nove mesi un bambino, lo nutre per il primo anno di vita: fino a un anno il bambino potrebbe vivere nudo, in una giungla, a patto che ci sia con lui la madre e il suo seno. Sì, i bambini potrebbero fare tranquillamente a meno di questi suppellettili inutili e ornamenti che per sfrenato consumismo e giustificato entusiasmo iniziamo a comperare quando c’è un bimbo in arrivo.
E allora, mi domando: ma perché il cognome della madre non deve essere trascritto accanto al nome del bambino? E ovviamente accanto a quello del padre? Mica sto dicendo di cancellare quello del papà, ma semplicemente di affiancargli quello della madre. Stiamo aggiungendo, non togliendo. Quindi, precisamente, dove trova posto a sedere questo problema? Al padre non stiamo togliendo nulla, al bambino casomai stiamo aggiungendo e alla madre stiamo semplicemente riconoscendo che anche lei, proprio come il papà, è un genitore e che visto che il bambino è il frutto dell’amore di entrambi vi sarà pure il suo cognome. Mi pare una cosa equa. Di facile comprensione e anche molto giusta. Fatta questa premessa, veniamo ai fatti. Attualmente sono presenti quattro disegni di legge affinché i genitori abbiano la possibilità di assegnare ai nascituri il doppio cognome. Ad iniziare la discussione è stato il Partito Democratico, con la senatrice Anna Rossomando, che ha dichiarato che l’attribuzione automatica del cognome del padre è «il risultato di una concezione patriarcale della famiglia e della potestà maritale, non compatibile con la concezione di parità tra uomo e donna». Ora, benché io non condivida quasi nulla di ciò che esprime o meglio non esprime il Partito guidato dalla segretaria Elly Schlein, sono d’accordo con questa visione e questo approccio alla questione. Solo gli stupidi non sposano un’idea perché non condividono l’ideologia di fondo di chi la propone. E così, le quattro proposte di legge sono state presentate dal gruppo delle Autonomie, dal Partito Democratico, dal Movimento Cinque Stelle e dall’Alleanza Verdi e Sinistra. Un importante passo in questa direzione era stato fatto il 1° giugno 2022 quando la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima l’assegnazione esclusiva del cognome paterno ai nuovi nati. L’usanza di mettere al neonato solo il cognome paterno affonda le sue radici nella tradizione romanistica e, in particolare, nella potestà maritale. Nel nostro ordinamento è assente una specifica disposizione che gli dia preferenza. A tale conclusione era giunta anche la Cassazione con l’ord. n. 13298/2004 con la quale aveva evidenziato che non esiste nel nostro ordinamento una disposizione diretta ad attribuire ai figli legittimi il cognome paterno. Ora, di certo il doppio cognome non contribuirà a creare una stabilità familiare o chissà che altro. Né tantomeno, creerà a mio parere, quei problemi che i conservatori stanno urlando solo all’idea di mettere a un bambino anche il cognome della madre. E invece: due genitori, due genitori ugualmente importanti per la crescita di un bambino, due cognomi.