No, i veri problemi che attanagliano le famiglie italiane sono ben altri
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 131 del 31 maggio 2022, ha di fatto cancellato la regola del patronimico. Questo intervento “additivo” della Corte non è stato ritenuto da molti opportuno, in quanto si sarebbe potuto mantenere intatta la regola dell’attribuzione del cognome paterno, salvo diverso accordo dei genitori. Nella scorsa Legislatura sono state presentate ben cinque proposte di Legge che, però, come spesso accade, sono finite per arenarsi con lo scioglimento delle Camere successivamente alla fine del Governo Draghi. Ed oggi, legiferare su questo tema è davvero una priorità? Assolutamente no, tuttavia anche stavolta in Commissione Giustizia al Senato è ripartito l’iter che mira a disporre che il cognome del figlio venga attribuito secondo la volontà dei genitori. In tal caso sono stati proposti quattro differenti disegni di legge, tutti da parte dei gruppi di minoranza con l’avvallo della presidente Buongiorno della Lega, con l’intento di dare pari dignità alle donne nel rapporto di coppia.
Dunque, a questo punto, è opportuno chiedersi se le misure che si intendono adottare siano parametrate all’esigenza della tutela del diritto di uguaglianza o non costituiscano solo un argomento della vulgata politica per porsi in contrapposizione ad una maggioranza che con l’aumento dell’IVA sui prodotti di prima necessità per l’infanzia ha davvero posto delle condizioni di sfavore verso i nuovi nascituri e i loro genitori. Insomma, piuttosto che la scelta del cognome che riguarda davvero un numero esiguo di soggetti ed è comunque un problema del tutto risolvibile con accordo dei genitori, rendiamoci conto che i veri problemi che attanagliano le famiglie italiane sono ben altri. È vero che i favorevoli alle posizioni oltranziste della lotta al patriarcato potrebbero dirci che questo aspetto rappresenta una priorità necessaria perché rende uguali i diritti di entrambi i genitori, ma così si finisce per dimenticare o far finta di non vedere, invece, le incredibili storture del sistema italiano che pone in un’oggettiva condizione di sfavore i minori che non sono integrati all’interno del classico schema familiare devoluto alla forma del matrimonio. E, allora, ecco il vero motivo della contrarietà ad un dibattito del genere. La politica per essere credibile, al netto che la funzione “additiva” della Consulta è stata utilizzata per dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 262 comma 1 del Codice Civile, deve adottare delle misure che integrino nel nostro diritto di famiglia la possibilità di vedere uguali diritti per i minori al di là della formula giuridica con la quale i loro genitori abbiano deciso di vivere. Insomma, convivenza di fatto, unioni civili o matrimonio non devono essere motivi ostativi ad una assoluta uguaglianza dei diritti dei minori nella nostra società. Le proposte, come nella scorsa Legislatura, potrebbero prevedere che i genitori debbano operare una scelta al momento della nascita del figlio, optando per il cognome del padre o per quello della madre o per quello di entrambi. Se non si raggiungesse un accordo, al figlio sarebbero attribuiti d’ufficio i cognomi in ordine alfabetico. Ecco la vera perplessità: perché scardinare un sistema di riconoscimento dell’identità personale che sussiste da decenni, obbligando i genitori a ricorrere a scelte identitarie anche quando non vi sia tra loro alcun disaccordo? Perché non mantenere l’attribuzione del cognome paterno, aggiungendo solo che i genitori possano esprimere una diversa volontà, attribuendo ai figli il cognome della madre o quello di entrambi? Oltre gli interrogativi già proposti, il vero pericolo si riscontra nella lesione della determinatezza di diritti oggettivi già acquisiti, come nel caso di figli già nati dopo l’eventuale approvazione della norma con la nascita del cambiamento di cognome e quindi d’identità. Gli interrogativi potrebbero essere molteplici e ulteriori poiché il cognome, così come il nome, costituisce garanzia di certezza dei rapporti giuridici; pertanto, ogni discussione che non garantisca la determinatezza è certamente deleteria se non dannosa nel “fragile” dibattito pubblico e politico italiano, figlio di una gara fra quelli che sembrano più degli influncer che seri rappresentanti degli interessi del popolo italiano e dello Stato.