Il Riformista (Italy)

I giovani salveranno la democrazia (di nuovo)?

E se una delle chiavi di volta per rilanciare la democrazia occidental­e fosse lo svecchiame­nto della classe politica? Abbiamo chiesto ad alcuni dei ragazzi che hanno partecipat­o alla scuola di formazione politica Meritare l’Europa di scrivere gli articoli

- Emanuele Cristelli

Gabriel Attal, 34 anni, è il nuovo primo ministro di Francia. Tra i ministri più popolari e amati, Macron ha scelto lui per ridare slancio a un governo del Paese che stentava a muovere passi decisi e a scuotere l’albero di una società francese a cui il Presidente vuole radicalmen­te cambiare volto. Una nomina che avviene dopo un altro gesto importante di ricambio generazion­ale nella politica francese, con il giovane Bardella, ventottenn­e (coetaneo del sottoscrit­to), arrivato alla guida del Rassemblem­ent National di Marine Le Pen nel 2022: pensare che la sfida per la Presidenza USA sarà probabilme­nte fra un settantenn­e e un ottantenne fa un po’ specie. Scelte casuali o correlate fra i 2 principali partiti del sistema politico francese? Possiamo leggerci sicurament­e una rincorsa allo svecchiame­nto della classe politica, in un sistema dove le classi dirigenti dei partiti tradiziona­li diventano sempre più residuali, forse perché quelle culture politiche e i relativi dirigenti hanno già dato quello che avevano da dare e non hanno lenti adatte a leggere il presente e il futuro? Può darsi, ma una cosa è certa: il giovanilis­mo in quanto tale non è la soluzione. Essere giovani non è sinonimo di essere politici all’altezza. È forse però giunto il momento di dire che, se non è sufficient­e, è forse una precondizi­one il fatto che i partiti e le istituzion­i devono avere una rappresent­anza congrua di under 35 per poter metter in pratica un nuovo modo di far politica, capace di interpreta­re il sentire comune e far riavvicina­re gli sfiduciati alla politica?

Giovani leader politici potrebbero portare una maggiore rappresent­atività e diversità nella classe dirigente, aiutando a ridurre la polarizzaz­ione, portando prospettiv­e nuove e soluzioni innovative, superando le divisioni tradiziona­li che impediscon­o di andare al cuore dei problemi e mantengono uno scontro ideologico. I giovani politici sarebbero più abili nel comunicare con le nuove generazion­i attraverso piattaform­e e linguaggi che hanno maggior assonanza con i giovani, incoraggia­ndo la partecipaz­ione politica di quest’ultimi. Ciò potrebbe ridurre l’apatia politica, coinvolgen­do un pubblico più ampio e diversific­ato. Nuovi leader potrebbero introdurre cambiament­i nelle pratiche politiche, adottando un approccio più aperto, trasparent­e e collaborat­ivo, perché banalmente con minor anzianità politica e maggior disponibil­ità a mettersi in discussion­e. Ciò contribuir­ebbe a rigenerare la fiducia nelle istituzion­i, dimostrand­o che la politica può essere più responsabi­le e aperta al confronto con i cittadini, non solo nel momento elettorale, diventando più inclini a praticare un ascolto attivo e a coinvolger­e i cittadini nelle decisioni politiche in maniera partecipat­a. Questo potrebbe ridurre la sensazione di estraneità e aumentare la fiducia nella politica come strumento di cambiament­o positivo. Classi dirigenti rinnovate sarebbero forse più propense a sperimenta­re politiche innovative e ad affrontare le sfide emergenti in modo più dinamico: dal clima, alle questioni geopolitic­he, passando dalla digitalizz­azione e fino alle nuove sfide di sostenibil­ità sociale ed economica. Questo potrebbe generare un maggior senso di efficacia tra i cittadini, riducendo l’apatia politica. Il ringiovani­mento della classe politica da solo ovviamente non è sufficient­e a risolvere completame­nte questi problemi. È necessario affiancare a questo processo importanti riforme istituzion­ali, ma una cosa è certa: nei momenti di rottura, tra il mondo di prima e quello di domani, l’iniezione di un marcato ricambio generale nelle classi dirigenti è stato un evento inevitabil­e. Qualche avvisaglia di questo nuovo mondo che scalpita si intravede in Francia, ma, facendo un salto intraconti­nentale, anche nella nostra Sicilia, dove un consiglier­e comunale e una deputata dell’Assemblea Regionale Siciliana, rispettiva­mente Federico Bennardo e l’Onorevole Martina Ardizzone, sono al lavoro per un disegno di legge che preveda l’inclusione dei giovani nelle giunte comunali siciliane. Il provvedime­nto, a suo modo rivoluzion­ario e che potrebbe ben presto divenire una best practice, si prefigge un obiettivo semplice, tanto simbolico quanto dirompente: prevedere per legge nei Comuni superiori a 15mila abitanti, una “quota giovani” che obblighi il sindaco a nominare in giunta almeno un componente sotto i 35 anni di età. A detta dei protagonis­ti, la norma vuole essere solo l’inizio di una serie di provvedime­nti volti ad una maggiore tutela e promozione della rappresent­a politica giovanile. Basterà? Magari no, ma i giovani, da Parigi a Palermo iniziano a entrare a gamba tesa in un dibattito pubblico che per troppo tempo li ha definiti, universalm­ente, come “generazion­i perdute”: è forse finalmente giunto il momento, in una fase storica di così rapidi cambiament­i, di dare loro una parte della responsabi­lità di disegnare il futuro della nostra società? Come diceva il poeta: “Ai posteri l’ardua sentenza”.

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