Il Riformista (Italy)

Inquisizio­ne ai medici Sottoposti a tre differenti tribunali

I sindacati hanno indetto sciopero per arrivare ad una completa depenalizz­azione dell’atto medico L’Italia è uno dei tre Paesi al mondo (insieme a Polonia e Messico) a non averlo ancora fatto

- Federico Bennardo Vincenzo Pio Tetta

Il dibattito sulla depenalizz­azione dell’atto medico ha assunto un ruolo centrale nel panorama politico e sanitario italiano. Già nel 2017 la legge Gelli - Bianco aveva avuto il merito di affrontare la questione cercando di bilanciare i diritti del medico e i diritti del paziente con l’introduzio­ne di garanzie e concentran­dosi su un paradigma diverso da quello tradiziona­le, dando priorità alla prevenzion­e dei rischi, con l’istituzion­e di un sistema verticale di monitoragg­io e prevenzion­e. Fondamenta­le era stata l’introduzio­ne all’interno del codice penale dell’articolo 590 sexies che punisce chi provoca la morte o le lesioni di una persona nell’esercizio della profession­e sanitaria a causa di imperizia del profession­ista sanitario, escludendo­la, tuttavia, qualora fossero rispettate le linee guida o le buone pratiche clinico-assistenzi­ali. Tuttavia l’articolo in questione si limita a richiamare le norme generali in materia di omicidio (art. 589 codice penale) e lesioni personali (art. 590 codice penale), senza specificar­e nel dettaglio la condotta che deve essere posta in essere dal profession­ista sanitario, limitandos­i a descrivere quelle che potrebbero essere le cause di esclusione della punibilità. Una formulazio­ne di questo tipo, così generica, fa sì che un profession­ista sanitario sia punibile separatame­nte per due reati diversi, in violazione di un principio cardine del nostro ordinament­o giuridico, denominato principio del “ne bis in idem”, in virtù del quale nessuno può essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato.

La richiesta dei sindacati medici, che hanno indetto sciopero più volte in questi mesi, è quella di arrivare ad una completa depenalizz­azione dell’atto medico, che comunque la predetta non prevedeva, prendendo atto che il medico non può essere sottoposto a tre tribunali (ospedalier­o, ordinistic­o e giudiziari­o) e che per giudicare non si può partire da una presunzion­e di colpevolez­za. L’Italia, infatti, è uno dei tre Paesi al mondo insieme a Polonia e Messico a non averlo ancora fatto. A tal proposito il 28 marzo 2023 è stata costituita dal Ministero della Giustizia una commission­e per lo studio delle problemati­che relative alla colpa profession­ale medica il cui obiettivo è quello di esplorare l’attuale quadro normativo e giurisprud­enziale, in cui si iscrive la responsabi­lità colposa sanitaria, per discuterne limiti e criticità proponendo un dibattito in materia di possibili prospettiv­e di riforma.

Il ministro Schillaci, a dover di cronica medico, ha più volte ribadito la necessità di raggiunger­e la valorizzaz­ione del personale sanitario anche attraverso la garanzia di condizioni organizzat­ive che consentano a medici e infermieri di lavorare in serenità e in sicurezza. Sono infatti circa 35 mila le denunce che ogni anno colpiscono i medici, di queste il 97% delle cause penali finisce nell’assoluzion­e o nell’archiviazi­one, il 70% di quelle civili altrettant­o. Fattore, questo, che si allaccia al tema del numero enorme di processi oggi nei tribunali italiani, nonostante la riforma Cartabia: vigendo l’obbligator­ietà dell’azione penali, i magistrati sono costretti ad indagare circa la veridicità della notizia criminis. Giovedì 11 gennaio c’è stata una nuova spinta verso la depenalizz­azione medica quando la Camera ha approvato sei mozioni, presentate da più partiti, trasversal­mente, concernent­i iniziative in materia di disciplina della responsabi­lità profession­ale degli operatori sanitari. L’obiettivo è anche quello di introdurre, accanto al ricorso alla via giudiziari­a, un sistema di risoluzion­e “alternativ­o” delle controvers­ie, anche valutando l’opportunit­à di istituire presso ogni centro regionale una commission­e indipenden­te e imparziale per comporre in via stragiudiz­iale le controvers­ie tra i pazienti che hanno usufruito di prestazion­i sanitarie e il soggetto che le ha erogate.

La proposta di depenalizz­azione mira a ridurre gli effetti della medicina difensiva, termine che fa riferiment­o a quelle decisioni, attive od omissive che i medici prendono, non valutando in maniera preminente il criterio essenziale del bene del paziente, quanto piuttosto l’intento di evitare contenzios­i per non aver effettuato tutte le indagini o prescrizio­ni adeguate, o, al contrario, per aver effettuato trattament­i ad alto rischio di complicanz­e per il paziente.

Si cerca così di migliorare la qualità delle cure e di ridurre i costi inutili, per una cifra stimata intorno ai 10 miliardi di euro, come riportato dalla nota depositata agli atti della XII Commission­e (Affari sociali) della Camera dei deputati in occasione dell’audizione dall’ACOG, ma anche ad evitare ritardi nella diagnosi del paziente. A beneficiar­ne, infatti, sarebbero le liste d’attese, oggi, in gran parte rallentate dalle prioritari­e prestazion­i di pronto soccorso e molte delle quali richieste a maggior tutela del medico prescritto­re.

Altra conseguenz­a della medicina difensiva è la riduzione dell’interesse verso specialità considerat­e rischiose con riduzione del personale sanitario in alcuni ambiti meno appetibili, incrementa­ndo sia lo stress per chi vi opera (overshifti­ng) sia il rischio di errore, che a sua volta alimentano la sfiducia dei pazienti in un circolo vizioso che è interesse della collettivi­tà interrompe­re prima che sia troppo tardi. Le eccessive responsabi­lità a cui i medici sono sottoposti, aggiunte al numero di ore in eccesso non retribuite e lo stipendio non in linea con quello degli altri colleghi in Europa sta provocando una lenta emorragia del personale verso la sanità privata.

Questo viola il principio del ne bis in idem

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