“La Sinistra sociale” dal libro di Merlo l’appello per un nuovo Centro
SUCCESSO PER LA PRESENTAZIONE AL SENATO Duecento persone affollano la Biblioteca della Minerva con Monsignor Paglia, Sbarra (Cisl), Casini, Renzi e Astori
Prima che il tempo dei “social” irrompesse nelle nostre vite (e nella politica), la parola Sociale era tra le più importanti, tra le più ricorrenti. Ed era ancora densa di significato. Riguardava la correlazione tra l’individuo e il mondo, l’altro, gli altri. Il sociale apriva uno squarcio in quella coltre che annebbia la vista e la priva del contesto, costringendo a guardare solo a sé. Ad uno specchio davanti a sé. Il sociale era invece la dimensione dell’incontro. E la Sinistra sociale era la declinazione politica di chi, a quell’istanza, era più sensibile. Ci sono i nostalgici del sociale, adesso che siamo tutti social? Se ce ne sono, sono nostalgici del futuro. Di questo parla l’onorevole Giorgio Merlo, nella sua veste di scrittore. Ieri a Roma, alla biblioteca del Senato in piazza della Minerva è stato presentato il suo libro “La Sinistra Sociale”, pubblicato da Marcianum Pres. Una guida utile a capire come e perché talvolta può essere utile guardasi indietro, per andare avanti. Con l’autore c’era una compagnia di quelle che la storia la fanno, prima di raccontarla: Monsignor Vincenzo Paglia, Pierferdinando Casini, Matteo Renzi, Luigi Sbarra, Gianfranco Astori. L’autore sottolinea chiaramente l’origine di questa prospettiva culturale e politica: il cristianesimo. E qui si va alla dottrina sociale della Chiesa, all’impegno come missione dei cristiani nella vita secolare. Henri De Lubac, teologo di spicco del Novecento, esprimeva già questa idea nel suo libro “Aspetti sociali del dogma”, criticando l’individualismo attribuito ai cattolici a causa della loro fede. Questa prospettiva sociale del cristianesimo è stata ribadita anche dal Concilio Vaticano II, che, grazie a teologi come De Lubac, ha enfatizzato la dimensione sociale della fede. Benedetto XVI, nella sua enciclica “Spe Salvi”, esprime stupore di fronte all’idea distorta che il messaggio di Gesù sia individualista, sottolineando la necessità di superare la concezione egoistica della salvezza. Il cristiano, secondo il Vaticano II, è parte di un “Noi” (la communitas) che ha il compito di influenzare positivamente la società.
Merlo invita a comprendere l’importanza della “sinistra sociale” – nome di una corrente della Dc – sia dal punto di vista culturale che politico. Questa corrente, non solo una fra le tante, ha influenzaoggi to profondamente la Democrazia Cristiana, trasformandola in un “partito italiano”. In quell’autentico “partito della nazione” che ha cementato tra loro le diverse, diversissime Italie uscite dalla Liberazione. L’autore è tornato ieri a esaminare nel corso del dibattito le realizzazioni di figure come Donat-Cattin e Franco Marini, riconoscendo la necessità di raccogliere l’eredità politica della “sinistra sociale” per guidare l’attuale stagione della politica italiana. Merlo sottolinea la penuria di visioni – non solo strategiche, ma storiche, o storicizzate – nella politica italiana contemporanea. E va giù duro: “La politica è senza pensiero”. La crisi della politica di è caratterizzata dall’assenza di una motivazione unificante e “appassionante” per il Paese. Merlo sostiene la necessità di una nuova “sinistra sociale” come risposta a questa carenza e all’attuale “sonnambulismo italiano”. L’autore rileva una “nuova questione sociale” di fronte all’indebolimento delle democrazie avanzate e all’ascesa delle “democrature”, indicando un cambiamento storico analogo a quello vissuto dopo la Seconda Guerra Mondiale. “Questa destra, questa sinistra, i populisti di oggi sono incapaci di dare rappresentanza al mondo cattolico e moderato. Serve un’area di centro, riformista, che si riorganizzi ed esca dal letargo”, ribadisce. La benedizione di Monsignor Paglia arriva sulle ali dell’autoironia: “Questo nostro impegno sia un fuoco. E non un fuoco di paglia!”.
L’autore del testo non si limita a un interesse storiografico, ma ambisce a raccogliere l’eredità politica della “sinistra sociale” per proporla come ispirazione per il futuro. La riflessione che dalle pagine del libro arriva al cuore del lettore si concentra sulla necessità di comprendere cosa significhi oggi riproporre una nuova “sinistra sociale”. Necessaria. Forse indispensabile. Questa convinzione è supportata dalla critica all’attuale crisi politica italiana, definita dall’autore come priva di visioni, in cui la politica sembra carente di pensiero e priva di una visione unificante per il Paese.
Il testo evidenzia un periodo storico privo di sogni e affronta l’emergere di una “nuova questione sociale”. Si sottolinea l’indebolimento delle democrazie avanzate e la crescita delle “democrature”, con un richiamo ai tempi successivi alla Seconda Guerra Mondiale, caratterizzati dalla scrittura di una Costituzione comune in Italia e dai primi passi verso un’Europa unita. Tuttavia, oggi ci troviamo in un nuovo passaggio storico, con molte persone spaesate a causa di crisi multiple, tra cui quella sanitaria, l’emergenza ambientale e le crescenti disuguaglianze. Il testo invita a riflettere sul ripensare delle relazioni tra individui e popoli, con una chiamata all’azione per i cattolici affinché collaborino con persone di diverse tradizioni per delineare una visione del bene comune. L’autore auspica una riscossa di pensiero da parte dei cattolici per contribuire a una nuova stagione della politica, superando le attuali condizioni in cui, come descritto da Giuseppe De Rita, il mondo cattolico italiano è presente ovunque, ma spesso irrilevante. A condurre il dibattito ieri alla biblioteca del Senato, il giornalista Rai Giuliano Giubilei. Alla fine degli interventi, le conclusioni affidate allo stesso autore: “Occorre trovare un centro che sia epicentro, equilibrio, luogo di incontro delle culture e delle idealità che hanno reso grande la cultura politica italiana del secondo Novecento”.
“Il cacciatore” che Michael Cimino realizzò 45 anni fa – e non diciamo che sembra ieri ma insomma – è una discesa agli inferi dantesca e insieme un’odissea omerica. Ma anche un film patriottico, un film d’amore e di amicizia, un film politico, di guerra, come un western, violento eppure delicato. In un certo senso è tutto il cinema in un solo film. Il suo ritorno in sala il 22, 23 e 24 gennaio è dunque una irripetibile occasione per vedere o rivedere questo capolavoro premiato con ben cinque Oscar sul grande schermo. Cimino con Martin Scorsese e Francis Ford Coppola, è uno dei tre grandi della rinascita del cinema americano degli anni Settanta, e forse persino più geniale di loro, e se non fosse stato divorato da una sindrome autodistruttiva forse sarebbe diventato il numero uno. Il suo “I cancelli del cielo”, opera grande e fiasco clamoroso – fece fallire la United Artists – poteva essere “il” film se non fosse stato per la sconcertante incapacità del regista di frenare la propria immaginazione, e i relativi costi: su 44 milioni spesi, il film ne incassò solo uno! Non così “Il cacciatore”, un film che in realtà sono più film: la vita di giovani operai in una cittadina mineraria della Pennsylvania; la loro passione per la caccia (“Un colpo solo”, è il motto di Michael-Robert De Niro); e immediatamente loro in Vietnam; con il ritorno a casa del protagonista per tentare di riprendere una vita ormai spezzata. E infine il colpo di scena di Michael che torna in un Vietnam-inferno per riprendere l’amico (Christopher Walken) rimasto lì nel tragico finale. Tutto è estremamente reale, fin troppo, disse qualcuno davanti alla famosa è terribile scena della roulette russa, e molto del film è però circondato da un’aura persino romantica - le scene di caccia, gli sguardi d’amore tra De Niro e la forse mai così meravigliosa Meryl Streep. Questo impasto di stili e tematiche non solo non disturba ma è la chiave dell’enorme successo del film, anche se la complessità richiede grande attenzione e una seconda o terza visione: quanti dettagli sfuggono la prima volta! De Niro-Ulisse combatte durissimamente e fa ritorno alla sua Itaca, in Pennsylvania, ma a differenza dell’eroe omerico, come di Dante nella Commedia, torna all’inferno per salvare l’amico rimasto lì intontito da oppio, alcool e roulette russe, senza difese come quei cervi che gli amici andavano a cacciare: e la morale è dunque che spargiamo e riceviamo violenza in questo mondo animalesco senza speranza eppure con insopprimibile nostalgia e ricerca frustrata di amore. Ha raccontato Antonio Monda che Cimino «dovette dar battaglia ai produttori per realizzare “Il cacciatore” così come desiderava.
Il regista ha dichiarato: “Tagliavano quello che volevano e di notte, come Penelope, ce lo rimettevo”. Nella fase di preproduzione, gli scout che scovarono le location ricoprirono oltre centomila miglia tra viaggi in aereo, in autobus e in automobile. Le riprese in Thailandia furono molto avventurose: durante le piogge torrenziali, gli attori dovevano salire sui tavoli per evitare i ratti giganti che nuotavano intorno a loro». Ma esistono anche altre leggende, come quella che racconta che per rendere la scena più realista Walken sputò realmente in faccia a De Niro, a cui la cosa peraltro non piacque affatto. Film leggendario, “Il Cacciatore” non mancò di suscitare le proteste di quanti vi videro l’esaltazione nazionalistica degli americani e la denigrazione dei vietcong. Ma era una lettura superficiale, ché se c’è un film sulle tremende conseguenze morali e materiali che pesarono su quell’America è proprio questo. E se dovessimo dire infine cosa aggiunge magia a magia basterebbe fare i nomi del cast: oltre alla leggendaria interpretazione di De Niro, la dolcissima Streep, Walker, John Cazale (che morirà poco dopo per un tumore) e John Savage. Metteteci una grande fotografia e il pezzo musicale struggente e avrete un capolavoro come pochissimi altri nella storia del cinema.