Il movimento delle cose Retrospettiva su Dadamaino
“Il movimento delle cose” è un’opera lunga tre metri. Su un foglio di poliestere sono segnati innumerevoli trattini di dimensione e direzione differenti, che davanti agli occhi, a debita distanza, si uniscono in una danza, un movimento ondulatorio, ritmato e irregolare, impossibile da standardizzare. In divenire. Come le cose del mondo appunto, come la vita. È forse l’opera più celebre, sicuramente una delle più impattanti di Dadamaino, Edoarda Emilia Maino, artista scomparsa nel 2004 dopo aver segnato la seconda metà del Novecento con la sua arte. A lei è dedicata la retrospettiva che prende il titolo dal nome con cui firmava i suoi lavori, Dadamaino appunto, aperta fino al 7 aprile al MA*GA di Gallarate, uno di quei bei musei di arte contemporanea che sempre più spesso si vedono prosperare nella provincia italiana meno nota, enti di grande valore che si prendono la libertà di illuminare zone dell’arte non sempre sufficientemente conosciute, facendo un lavoro egregio di servizio alla comunità e alla cultura. Dadamaino è precisamente uno di questi casi: nata a Milano, autodidatta, incontra l’arte di Lucio Fontana e Yves Klein appena ventenne e, incuriosita dalla loro ricerca, comincia a indagare lo spazio e la luce, imboccando un percorso che la porterà da lavori più tradizionali all’astrattismo che caratterizzerà tutta la sua produzione. Le oltre ottanta opere in mostra seguono e descrivono questa modulazione, fin dai primi lavori di fine anni Cinquanta, in cui memore della lezione di Klein propone tele monocrome a cui unisce la ricerca spaziale di Fontana sulla tela: ecco allora il ciclo dei “Volumi”, dipinti a un unico colore che si trasformano in sculture grazie alle perforazioni che ne attraversano la superficie, facendo entrare di prepotenza la terza dimensione, lavori definiti dal curatore Flaminio Gualdoni “variazioni teoricamente illimitate di un tema, poggianti comunque su una consapevolezza estetica”. Queste opere realizzate tra il 1958 i primi anni Sessanta sono messe a confronto con quelle della collezione museale di Lucio Fontana, Enrico Castellani e Piero Manzoni, Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Enzo Mari, Alberto Biasi, per sottolineare il dialogo stretto che correva tra le ricerche di tali artisti e Dadamaino e come Brera fosse in quel periodo calamita e terreno di coltura per creativi e artisti, che svilupparono collettivamente un nuovo sentire e un differente modo di espressione visiva. La mostra prosegue poi affrontando cronologicamente i principali passaggi della ricerca di Dadamaino, con le opere delle esposizioni internazionali e il ciclo di oggetti e disegni ottico cinetici degli anni 63-65 - gli “oggetti ottico-dinamici” o oggetti visivi instabili realizzati in materiali diversi, come nylon e alluminio - che Dadamaino realizza quando incrocia la strada degli artisti del GRAV (Groupe de Recherche d’Art Visuel) di François Morellet, con cui partecipa alle rassegne di Nouvelle Tendance. È il momento della op art, movimento di arte astratta, che tramite colori e soggetti geometrici crea illusioni spaziali e di movimento, quindi perfetta per l’artista che sta sviluppando il proprio lavoro proprio in questo ambito d’azione. Accanto ai lavori di questo periodo sono diverse le opere delle collezioni permanenti che sono messe a confronto, tra cui quelle di Bruno Munari, Nanda Vigo, Getulio Alviani, e l’opera “Spazio elastico” di Gianni Colombo, che torna visibile per l’occasione dopo il restauro.
Conclude il percorso la poetica matura di Dadamaino, con le opere di carta di vario formato del ciclo dal titolo ”I fatti della vita”, una imponente serie di carte giustapposte (che nel tempo arrivarono ad essere addirittura 560) in cui l’artista crea una sorta di spartito diacronico, con alfabeti inventati, tratti grafici lasciati su fogli e tele di dimensioni variabili, composti secondo un andamento apparentemente caotico ma che sembra rispecchiare l’ordine incomprensibile ma effettivo della vita, un lavoro complesso che l’artista realizzò nel corso di anni, aggiungendone periodicamente parti e appunti, una sorta di diario di vita visivo.