DISCREZIONALITÀ INVESTIGATIVA E VERITÀ NASCOSTE
Fra le varie forme di discrezionalità che emergono dalla prassi giudiziaria, la più interessante è certamente quella investigativa, da cui dipende in larga parte anche la discrezionalità dell’azione penale
Stabilendo chi e per che cosa indagare, le modalità di conduzione delle attività inquirenti, ad esempio l’utilizzo di sofisticati mezzi tecnologici di ricerca della prova solo formalmente autorizzati dal giudice, per finire con la selezione dei materiali raccolti mediante la sapiente gestione dei fascicoli in base a regole che rasentano gli arcana imperii. Se l’omesso deposito di atti di indagine integra una incontestabile patologia, magari difficile da scoprire, ma, una volta individuata, sanzionabile con le invalidità, il gioco della composizione e scomposizione dei procedimenti rientra, invece, in una discrezionalità ritenuta “fisiologica” che si pone agli antipodi del fair play processuale di cui si vorrebbe accreditare la figura del pubblico ministero. La selezione e il conseguente occultamento alla difesa delle informazioni ottenute nel corso delle indagini passano proprio attraverso la frammentazione dei procedimenti e il mancato deposito degli atti nei relativi fascicoli. Alcune laconiche previsioni del codice (art. 130 e 130-bis norme att. c.p.p.), ma soprattutto le discutibili prese di posizione della Cassazione attribuiscono al magistrato dell’accusa il potere assoluto di riunire o separare procedimenti o loro singole parti quando ciò sia conveniente per le esigenze delle indagini. Il risultato è la maxi-indagine, un contenitore all’interno del quale il titolare del fascicolo può decidere, in assoluta autonomia e senza alcuna forma di controllo, per quali soggetti o per quali imputazioni chiedere il rinvio a giudizio e per quali, invece, proseguire, peraltro sine die, le investigazioni. La separazione dei procedimenti si riflette direttamente sulla formazione dei fascicoli, nel senso che saranno messi a disposizioni della difesa e del giudice dell’udienza preliminare solo gli atti relativi alle posizioni stralciate per le quali viene esercitata l’azione penale, rimanendo esclusi tutti gli altri atti di indagine. Ma chi decide quali atti sono rilevanti per la posizione separata? Ovviamente il pubblico ministero titolare per il quale, in modo volutamente sibillino, la giurisprudenza esclude un obbligo di allegazione di atti che riguardino indagini ancora in corso di sviluppo, così legittimando una selezione, a volte plasticamente rappresentata dagli omissis, lesiva dell’interesse difensivo alla piena discovery di tutto ciò che è stato raccolto nel corso della maxi-indagine. Come dire, l’unico ad avere una visione d’insieme è il pubblico ministero al quale è attribuito anche il potere, non controllabile dalla difesa, di stabilire ciò che sia pertinente alla singola posizione oggetto della separazione. Così si spiega, ma non si giustifica, il fenomeno, sempre più diffuso, della prova nascosta.
Diverso è il discorso per le intercettazioni: il più potente strumento di indagine, la prova regina del processo tecnologico, è completamente nelle mani della polizia giudiziaria che ascolta, valuta il senso delle parole captate, attribuisce rilevanza investigativa a certi dialoghi ed esclude le parti ritenute inutili, magari perché potenzialmente favorevoli alle tesi difensive. L’unico soggetto processuale a conoscenza di tutte le registrazioni, parliamo di centinaia o addirittura migliaia di ore, è la polizia giudiziaria che seleziona e trascrive solo quello che ritiene utile al magistrato, recettore passivo della discrezionalità poliziesca. La difesa non ha alcun potere effettivo di controllo, agisce in contropiede, al termine delle indagini, quando vengono formalmente messe a disposizione tutte le registrazioni per l’ascolto diretto nelle apposite sale della procura, ma nessuno è materialmente in grado di riascoltare anni di intercettazioni, magari su centinaia di utenze, per cercare eventuali prove a discarico. Anche la difesa, come il pubblico ministero, sconta una dipendenza informativa dai brogliacci della polizia giudiziaria, e in tal modo il cerchio si chiude, l’intercettazione diviene la regina delle prove nascoste.
*Professore ordinario di procedura penale