Il Riformista (Italy)

PROCESSO ENI LA FORZA DI UN PARADIGMA

- Giuseppe Belcastro*

Ci sono due pubblici ministeri che hanno deciso di nascondere una prova determinan­te per la difesa degli imputati, costituita da un video dimostrati­vo della falsità del principale accusatore; c’è un Tribunale che si avvede dell’innocenza e annichilis­ce ogni mal riposto sforzo accusatori­o assolvendo tutti e definendo inspiegabi­le l’accaduto circa la prova non ostesa; c’è un appello degli inquirenti insoddisfa­tti (a proposito: non è mai troppo tardi per una riforma che lo escluda) e una Procuratri­ce Generale che invece, come un efficace anticorpo, pone fine alla vicenda rinunciand­o all’impugnazio­ne dei suoi colleghi e qualifican­dola come incongrua, insufficie­nte, fuori dal binario della legalità e figlia di una posizione dell’accusa violativa delle regole del giudizio.

Solo che stavolta, c’è pure il liocorno. Un altro pubblico ministero, infatti, il dott. Paolo Storari, nel frattempo evocato testimone nel processo che dai fatti è derivato a carico dei nascondito­ri, appoggia delicatame­nte la ciliegina in cima alla torta: aveva provato a segnalare ai colleghi l’inattendib­ilità del teste e la calunniosi­tà delle accuse risultatag­li per altra via nel corso di una sua investigaz­ione, ma costoro non ne avevano voluto a che sapere, perché – dice in sostanza Storari – loro quel processo non lo potevano perdere ed Eni non doveva uscirne bene.

Nel dire ciò tuttavia – potete leggerne in Quarta Pagina nella Storia del processo – il testimone articola a bassa voce una sorta di giustifica­zione logico-argomentat­iva secondo cui tutto l’accaduto sarebbe causato da una visione a tunnel che avrebbe impedito agli inquirenti di mantenere il necessario equilibrio valutativo, quasi determinan­doli nell’errore. Anche questa in fondo – dice in sostanza Storari – è la funzione del contraddit­torio: portare l’attenzione su pezzi della prova che il pubblico ministero senza malafede non ha visto.

È una blanda difesa pavloviana forse, ma stimola comunque alcune riflession­i.

Per pensare che quanto accaduto nel caso ENI sia causato dall’essersi gli inquirenti infilati senza colpa in un tunnel visivo, serve essersi infilati a propria volta in un tunnel visivo, perdendo stavolta del tutto la visione laterale. La pervicacia con cui si è portata avanti l’accusa, addirittur­a appellando l’assoluzion­e, e le stesse percezioni di impermeabi­lità deliberata ai fatti che Storari riferisce di aver ripetuto dal dialogo con i suoi colleghi attestano invero l’esatto contrario. A voler essere buoni, cose così sono il frutto di un peccato originale costituito dal volersi ad ogni costo barricare negli angusti confini di uno scenario giansenist­a fatto di buoni e cattivi; e non si farebbe fatica a capire dove i due pubblici ministeri del processo ENI abbiano inteso collocarsi.

Mentre per formulare l’ipotesi peggiore, quella che, inscritto il fatto nel delitto che a Brescia ha già condotto al rinvio a giudizio in danno dei due pubblici ministeri, consentire­bbe di qualificar­lo come lo scellerato gesto di chi vuole a tutti i costi vincere il processo facendo strame delle regole, serve attendere l’esito di quel giudizio. Anche se, per dirla tutta, il dubbio poco più che retorico del Tribunale sull’inspiegabi­lità della condotta dei due pubblici ministeri e l’affilata analisi del Procurator­e Generale sulle caratteris­tiche dell’atto di appello quell’esito preconizza­no.

Che sia l’una o l’altra delle ipotesi a dimostrars­i alla fine fondata, comunque, quando la polvere dell’artiglieri­a mediatica sarà calata, potrebbe voler la pena ripartire da un dato fino a ieri nient’affatto scontato: la magistratu­ra è una parte del Paese, non la migliore, non la peggiore; solo una parte. In essa c’è tutto il bene e tutto il male della società. Regolare e rendere trasparent­e il potere che amministra è ormai improcrast­inabile. Senza proclami, caccia alle streghe o guerre di religione.

Ma con tanta buona volontà e franchezza.

Ci sono due pubblici ministeri che hanno deciso di nascondere una prova determinan­te per la difesa degli imputati

*Avvocato penalista

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