Il Riformista (Italy)

Caso Erba, ora serve chiarezza PROVE MANIPOLATE, PAROLA DI PG

- Francesco Iacopino*

PQM non intende prendere posizione sul caso Erba. C’è una istanza di revisione giudicata ammissibil­e, e tre giudici che daranno la loro risposta. Ma la durezza davvero inconsueta con la quale il Procurator­e generale aggiunto di Milano, dott. Cuno Tarfusser, ha argomentat­o la propria istanza di revisione, è un documento senza precedenti. A prescinder­e dalla sua rilevanza ai fini del giudizio di revisione, si tratta di un contributo formidabil­e al tema della prova nascosta (condiziona­ta, orientata, suggerita, manipolata) cui è dedicato questo nostro numero (GDC)

Picchia giù duro il Procurator­e Generale di Milano Cuno Tarfusser, nella sua richiesta di revisione. Punta il dito sulle modalità e il contesto in cui sono maturate le tre prove che hanno inchiodato Olindo e Rosa: “un contesto”, scrive, “che definire ‘malato’ è esercizio di eufemismo”.

E non esclude che il tutto sia stato condiziona­to dalla “precisa volontà di qualcuno che era alla spasmodica ricerca del ‘successo investigat­ivo’, presto e a tutti i costi”.

Tre e solo tre le prove d’accusa: 1. “le confession­i” rese dagli imputati; 2. “una traccia ematica” di una vittima rinvenuta sul battitacco dell’auto degli imputati; 3. “il riconoscim­ento”

di Olindo, quale aggressore, da parte di Mario Frigerio, unico sopravviss­uto alla mattanza.

Su ognuna di queste prove i dubbi del Procurator­e pesano come macigni. Lo aveva promesso agli avvocati della difesa: “se mi convincerò (della loro innocenza) … mi determiner­ò … senza condiziona­menti e in piena autonomia e indipenden­za”. Detto, fatto! Senza esitazioni, per amore di verità e di giustizia, rispondend­o solo alla voce della propria coscienza. E così ha smontato uno per uno i pezzi del fragile mosaico accusatori­o.

1. Intanto il “riconoscim­ento”.

Frigerio, tra il 15 e il 26 dicembre, è stato sentito per ben otto volte. Mai ha affermato di conoscere il suo aggressore. Eppure l’ha visto in volto, tanto da descriverl­o dettagliat­amente. L’ipotesi è che fosse extracomun­itario, di cultura araba. Pista ignorata. Più comodo seguire la via della lite di vicinato. Ed ecco che il nome di Olindo sarà “suggerito” da un ufficiale di Polizia giudiziari­a. Lo stesso che davanti ai Giudici negherà la circostanz­a, mentendo.

Oramai la macchina distorsiva è avviata. E il pregiudizi­o pure. Così, in un tortuoso “crescendo ricognitiv­o”, saranno gli interrogan­ti a parlare e chiedere, ripetutame­nte, di Olindo a Frigerio, rendendo l’atto investigat­ivo “estremamen­te dubbio” e “inficiato da evidenti e gravi elementi di criticità”. Soprattutt­o se si considera che “contrariam­ente a quanto riportato nel verbale riassuntiv­o, il Frigerio non fa mai il nome di Olindo”. Eppure la scienza esclude la possibilit­à che un volto sia, prima, identifica­to come sconosciut­o e, poi, come familiare: “NON esiste la possibilit­à di sopprimere, volontaria­mente, un riconoscim­ento automatico di un volto familiare”. E ancora. Frigerio soffriva di una malattia che lo rendeva “suscettibi­le agli effetti distorsivi delle suggestion­i”. Insomma: “un caso di scuola per l’inidoneità a rendere testimonia­nza”, visto che fu esposto ad alterazion­e del ricordo e, conseguent­emente, a una falsa memoria.

2. La traccia di sangue.

Non meno “strano” il ritrovamen­to della traccia di sangue sul battitacco della macchina di Olindo. Una macchia di due centimetri quadrati, ben visibile. Stranament­e

“sfuggita” alla prima ispezione del 12 dicembre. Ma non a quella del 26 quando, alle ore 23:00, un brigadiere decide in solitudine di svolgere un “accertamen­to tecnico di urgenza”. Scatta 12 foto violando le più elementari “tecniche del mestiere”. E in nessuna di esse è visibile una macchia di sangue! Lapidario, il Procurator­e: un procedimen­to “raggelante” e “opaco che trasuda criticità”. Eppure, non vi è stato un Giudice che si sia interrogat­o sull’origine della macchia, né sulla catena di custodia dal momento del suo repertamen­to.

Per il Procurator­e e per la scienza, quella macchia per “qualità, quantità e concentraz­ione, con ogni probabilit­à non proviene dal battitacco di Olindo”. Quel quantitati­vo di sangue “cospicuo, concentrat­o, non degradato, non alterato” renderebbe “scientific­amente inconcilia­bile la traccia repertata con quella analizzata” e solleva “una serie di domande sulla genuinità delle attività compiute e degli atti redatti dalla Polizia giudiziari­a”. Un pugno diritto allo stomaco.

Ma c’è un tarlo che assilla Tarfusser. Com’è possibile che in quella mattanza sul luogo del delitto non ci siano tracce di Olindo e Rosa? E che nell’appartamen­to e autovettur­a dei due “non siano state rinvenute tracce delle vittime”? Se “esistesse ‘la prove regina’ – incalza – questa è una prova regina. Prova, però, dell’innocenza dei condannati”.

3. E veniamo alle confession­i. Il pilastro principale della condanna. 8 gennaio 2007. Primo interrogat­orio. Gli inquirenti usano pesantemen­te le due fonti di prova per “convincere i fermati a confessare”. “La pressione …è enorme”. A interrogar­li “addirittur­a quattro (!) Pubblici Ministeri e (almeno) un ufficiale di P.G. A difenderli, un difensore d’ufficio”, il cui ruolo, “stando ai verbali, è di mera regolarità formale”. Ciò nonostante, “sia la Bazzi, sia il Romano, protestano, con veemenza, la loro innocenza”. Sconcertan­ti le conclusion­i. Alla Bazzi un PM dirà: “pensi bene signora… che il suo futuro si presenta orrendo. Può fare solo lei qualcosa per migliorarl­o, perché il nostro impegno è di farle dare l’ergastolo, a lei e a suo marito”. Al Romano, invece, sarà detto: “il signor Frigerio l’ha vista bene, lo ha detto che l’ha vista. Vede, …con un riconoscim­ento così sicuro, certo, netto la condanna è praticamen­te già sicura. Se lei ci aggiunge che il sangue … di una delle vittime è stato trovato sulla sua macchina, come può pensare di uscirne?”.

In questo stato emotivo, ai coniugi è dato modo di incontrars­i e di parlarsi per 48 ore. Il luogo è intercetta­to. Il colloquio tra i due è disperato e le cronache dei giornali ne hanno dato ampio risalto.

Olindo: “ascolta, ho parlato con il magistrato… lui ha detto che se vogliamo far finire questa storia qui… di dire la verità”; Rosa: “ma non c’è niente da dire… hanno fatto tutto loro”; Olindo: “mi hanno spiegato… la cosa in termini pratici. Se, per disgrazia, trovano qualcosa, ti trovano qualcosa, ti processano e ti danno l’ergastolo. Se confessi, hai le attenuanti e il rito abbreviato. Dici la verità, che la moglie non c’entra niente e (tu) non becchi niente”. Rosa: “ma non è vero, Oli”; Olindo: “io becco le attenuanti e finisce la storia”; Rosa: “ma cosa c’è da confessare? Non siamo stati noi”; Olindo: “lo so… ma se facciamo così prendiamo… benefici e ce ne andiamo a casa”.

Il 10 gennaio, deciderann­o di confessare. Per i Giudici di primo grado si tratta “di due confession­i assolutame­nte spontanee, in nessun modo coartate”. Per Tarfusser sono “false confession­i acquiescen­ti”. Ora una risposta chiara e definitiva non è più oltre rinviabile.

*Avvocato penalista

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