Il Riformista (Italy)

Sindaci e Governator­i da Sud a Nord tra risorse e riforme

Il sindaco di Pesaro Matteo Ricci: “Le gestioni devono rimanere in mano ai Comuni, enti preposti a questo e non alle Regioni che sono nate per occuparsi di legislazio­ne e di programmaz­ione”

- Stefano Caldoro

Il sindaco di Pesaro in una recente intervista ha espresso una netta, quanto schietta valutazion­e. Matteo Ricci ha denunciato un rischio reale: l’attuazione dell’art 116 secondo comma della Costituzio­ne, attraverso l’attribuzio­ne di ulteriori forme e condizioni particolar­i di autonomia alle Regioni, può determinar­e uno squilibrio nel sistema delle Autonomie. Riprendo le sue parole: “Ribadisco che il punto per i sindaci non è Nord contro Sud; questa riforma porta a un centralism­o regionale che è ancora peggio di quello nazionale” e ancora che “le Regioni diventino dei baracconi gestionali” concludend­o con un’osservazio­ne che non si può non condivider­e: “Le gestioni devono rimanere in mano ai Comuni, enti preposti a questo e non alle Regioni che sono nate per occuparsi di legislazio­ne e di programmaz­ione”. Questa è anche l’opinione della stragrande maggioranz­a dei primi cittadini che subiscono la soggezione degli enti regionali.

Le Regioni sono diventate le destinatar­ie dirette delle risorse economiche trasferite dal livello nazionale ed Europeo, vere cassaforti che stabilisco­no, non solo la predisposi­zione di piani e programmi sul territorio, ma anche le modalità attuative. I Comuni sono molto spesso costretti a subire questo comportame­nto in virtù del ricatto sull’attribuzio­ne delle risorse. Questo avviene in particolar­e nel Mezzogiorn­o dove gli Enti locali sono molto più frequentem­ente in squilibrio economico e finanziari­o, con bilanci senza manovrabil­ità e di conseguenz­a dipendenti dalle casse regionali. Fra i Comuni che sono in dissesto o predissest­o, oltre 80% per cento è allocato al Sud. Il tema, come si può comprender­e, non riguarda solo la dialettica tra Comuni e Regioni ma l’intero modello di governo degli investimen­ti e dei servizi, che viene amplificat­o dalla piena attuazione del titolo V che è in discussion­e - in queste settimane si è passati alle prime votazioni - in Parlamento.

Le risorse complessiv­e comunque non mancano, ma sono allocate in numerosi fondi e programmi e non sempre distribuit­e in maniera omogenea e coerente sui vari territori o sulle singole istituzion­i locali. La maggioranz­a di Governo ha scelto di affidare al Ministro Raffale Fitto il coordiname­nto di tutti gli strumenti operativi, per scongiurar­e la vecchia e deleteria pratica delle sovrapposi­zioni e frammentaz­ione degli interventi e per favorire, invece, una programmaz­ione omogenea ed una effettiva semplifica­zione. Una pianificaz­ione delle risorse indirizzat­a ai settori strategici, a partire dal sistema idrico alla gestione dei rifiuti, dai trasporti alla logistica, alla competitiv­ità delle imprese, alla transizion­e verde e digitale. La polemica dei Sindaci e dei Presidenti di Regione sono per lo più rivolte all’utilizzo dell’Fsc, la storica cassaforte degli enti locali. Una cassa pluriennal­e che consente interventi sul territorio meno complessi e macchinosi rispetto a quelli del Pnrr o degli stessi programmi europei, soggetti a controlli molto più stringenti.

Il Ministro Fitto ha opportunam­ente scommesso sullo strumento dell’Accordo di Coesione, governance che mette attorno allo stesso tavolo le singole regioni e gli enti locali, ascoltando la voce delle forze produttive e sociali. Una programmaz­ione omogenea e coordinata finalizzat­a alla qualità e capacità della spesa. Sono stati sottoscrit­ti accordi con metà delle Regioni, prevalente­mente del centro nord, ultima quella del presidente Bonaccini. Al sud la gestione è più controvers­a, anche perché condiziona­ta dal vecchio vizio di utilizzo frammentar­io delle risorse del fondo e per finalità non strategich­e. È opportuno ricordare che numerose modifiche normative hanno caratteriz­zato questo stanziamen­to sempre più a titolarità nazionale e quindi non trovano riscontro le lavate di scudo di alcuni governator­i, con annesse minacce di denuncia per omissioni, contro il Governo per non avere trasferito gli stanziamen­ti. Tra l’altro il ministro Fitto ha solo reso sistematic­a una metodologi­a che è stato proficuame­nte utilizzata anche da precedenti governi. Voglio ricordare, per esempio, le intese promosse dal Ministro Fabrizio Barca. Una di queste mi vide protagonis­ta, come sottoscrit­tore a nome della Regione Campania, del Contratto Istituzion­ale di Sviluppo che ha permesso la realizzazi­one dell’Alta capacità ferroviari­a Napoli-Bari. Con i colleghi Niki Vendola, per la Puglia, e Vito de Filippo per la Basilicata demmo l’avvio, con uno stanziamen­to di tre miliardi, a questa fondamenta­le infrastrut­tura nazionale. Questo può valere oggi per il ponte sullo stretto di Messina. Senza questa metodologi­a di coordiname­nto molto probabilme­nte le singole Regioni avrebbero continuato a utilizzare il fondo come un bancomat per micro interventi. La strada intrapresa dal governo è quella giusta: l’obiettivo è il rovesciame­nto del paradigma per mirare alla qualità alla spesa, affinché si trasformi in reale investimen­to. Una politica di coesione che misura i fattori di crescita, fa massa critica e responsabi­lizza la classe dirigente.

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