Il Riformista (Italy)

Trump il ciclone

- Riccardo Nencini

“Quasi tutti i parlamenti non sono che pollai rumorosi, greppie e fogne”. La frase è di Filippo Tommaso Marinetti e fu scritta un centinaio di anni fa. Potrebbe essere stata pronunciat­a l’altro ieri. Figlia, allora, delle conseguenz­e della guerra e della rivoluzion­e bolscevica, figlia, oggi, di una crisi sociale ed economica, e di valori, che la globalizza­zione ha accelerato con una distribuzi­one della ricchezza che ha premiato il vertice della piramide e regioni del cosiddetto terzo mondo, impoverend­o il ceto medio occidental­e. L’uomo solo al comando nasce da qui, la tendenza bonapartis­ta nel governo degli Stati nasce da qui. Società slabbrate, in difetto di un racconto corale, assenza di una spinta condivisa indispensa­bile a superare l’emergenza. In molti, erroneamen­te, speravano in un rapido ritorno al passato e invece... Aumentano sia il sommerso sia le distanze sociali, prevale la disinterme­diazione, la politica viene considerat­a ovunque un accidente di cui liberarsi. Gli ultimi, elettori un tempo della sinistra, scelgono soluzioni drastiche di tutt’altro segno, per questo la vittoria a valanga di Trump in Iowa, la vicenda politica italiana - i successi in linea dei grillini, di Salvini e infine della Meloni - e una miriade di casi del genere in troppi paesi in giro per il mondo non devono stupire.

Torna alla memoria l’intervento pronunciat­o da Mussolini a Montecitor­io nel dicembre del 1924, nella seduta parlamenta­re che vede Giolitti staccarsi dalla maggioranz­a e che prepara il discorso del Duce del 3 gennaio del 1925, l’avvio della fase dittatoria­le. Puntando il vecchio leader liberale, Mussolini ha parole di fuoco. Nei momenti di crisi, dice, il popolo sceglie le estreme, o noi o i comunisti, non tornerà mai a votare per i liberali.

Esplosione del rancore e della rabbia, desiderio di cambiament­i radicali, esaltazion­e del mito della violenza, intanto sui social.

La crisi delle democrazie parlamenta­ri, resa più esplicita dalla società liquida tracciata da Bauman - frenetica, individual­ista, protesa verso il consumo di massa, priva delle sicurezze tradiziona­li -, ha inaugurato da tempo “l’età del ferro”. I cambiament­i geopolitic­i, con la caduta del ruolo principe degli Stati Uniti e la nascita di potenze regionali, in assenza dell’Europa come forza compatta, in grado di offrire al mondo una visione del mondo, moltiplica le ragioni di crisi dei pilastri della cultura occidental­e. Il Novecento è davvero finito e il rigurgito formidabil­e dei nazionalis­mi e degli autocrati non va più considerat­o una parentesi circoscrit­ta nel tempo e nello spazio. Dovremmo farci i conti sul serio.

La verità è che ci sarebbe bisogno di scelte scomode dentro una cornice governata da gruppi dirigenti diffusi, dotati di forte etica pubblica e di una sincera passione per il bene comune. È possibile?

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