Lamborghini anniversario col record
Il best seller di Sant’Agata è il suv Urus che doveva essere prodotto a Bratislava ma l’allora governo Renzi convinse l’ad a lasciare la realizzazione in Italia creando 500 nuovi posti di lavoro
Boom per la Lamborghini: per la prima volta ha superato il tetto delle 10mila auto a 10.112, in crescita del +10% rispetto al 2022.
Il record coincide con il sessantesimo anniversario dell’azienda storica delle auto di lusso italiane, anche se ormai da più di vent’anni è una multinazionale, interamente posseduta dalla tedesca Volkswagen. Ma produce, e dà lavoro, in Italia. Il record è stato registrato soprattutto grazie alla vendita del suv Urus: 6.087 unità, una su sei di tutte le Lamborghini vendute.
Questo modello è in produzione dal 2017. L’azienda voleva realizzarlo a Bratislava, ma l’allora governo Renzi convinse l’amministratore a rimanere in Italia. Creando 500 nuovi posti di lavoro nello stabilimento di Sant’Agata di Romagna, che passò da 80 a 160mila metri quadri.
Per un investimento di 700 milioni, di cui solo 80 pubblici. Per ricerca e sviluppo e, sgravi fiscali, decontribuzione alle assunzioni grazie al jobs act. Un successo di politica industriale. E anche occupazionale. Persino Landini festeggiò, con la Fiom quasi sindacato unico in fabbrica. Oggi Lamborghini, oltre al record di produzione, per l’undicesimo anno consecutivo, ha ottenuto la certificazione Top Employer Italia, un riconoscimento per l’eccellenza nel trattamento dei propri dipendenti, in termini di welfare aziendale tramite programmi dedicati al loro benessere fisico e mentale, politiche finalizzate a tutelare l’equilibrio tra lavoro e vita privata, oltre a una particolare attenzione verso tematiche come diversità, equità e inclusione. Non solo: Lamborghini sta anche sperimentando la settimana corta, a parità di salario. L’accordo prevede, inoltre, un significativo aumento del salario annuo (circa 2.500 euro a regime dal 2026), l’assunzione di altri 500 nuovi dipendenti, un percorso di miglioramento per le lavoratrici ed i lavoratori degli appalti all’interno del sito incentivando accordi integrativi di secondo livello, il consolidamento e l’implementazione dei diritti, la tutela delle differenze con una particolare attenzione contro la violenza nei confronti delle donne e per una reale inclusione sociale. Forse il ministro dello sviluppo di oggi, Adolfo Urso, che è contrario alle multinazionali, non vedrebbe di buon occhio questi investimenti. Come Giorgia Meloni, che preferisce occuparsi dei balneari, ignorando le grandi imprese straniere nel nostro Paese. Come dimostra la lettera che ha inviato Adytha Mittal due giorni fa al premier, chiedendo di incontrarla. Mentre lei ha disertato il tavolo con il ceo di ArcelorMittal lasciando soli i ministri ad occuparsi del più grande siderurgico d’Europa. Non fu così nel 2015 con Matteo Renzi. Nonostante la firma per l’accordo con Lamborghini fu messa a Palazzo Chigi dall’ad Stefano Domenicali con il ministro dello sviluppo Federica Guidi, il premier presenziava all’accordo in piedi dietro di loro. Fu lui a convincere i vertici di Volkswagen a margine del forum di Davos a produrre l’Urus in Italia. Quali investitori ha convinto invece il ministro Giorgetti al forum di Davos due giorni fa? A occhio e croce nessuno, se persino Intel ha deciso di non venire più qui. Due anni dopo quell’accordo, a fine 2017, il suv Urus entrò in produzione. Per festeggiare quella giornata, Matteo Renzi, che nel frattempo si era dimesso da Palazzo Chigi, andò alla fabbrica di Sant’Agata per l’inaugurazione. E salì a bordo di una Lamborghini per un giro della fabbrica con l’ad Stefano Domenicali. Il giorno dopo il titolo era “Renzi a Ibiza in Lamborghini con i soldi degli italiani”. Era una fake news, che però scatenò una campagna di odio. In realtà quel giorno si festeggiavano 500 nuove assunzioni (che ora diventeranno 1000), crescita economica, sviluppo industriale, e un’auto che fa grande l’Italia nel mondo. Mentre chi criticava, oggi sta facendo scappare gli investitori smantellando pezzo pezzo l’ossatura industriale del Paese nel disinteresse quasi generale.