Turismo petrolio italiano? Limiti di un settore mitizzato
Abbiamo chiesto ad alcuni dei ragazzi che hanno partecipato alla scuola di formazione politica Meritare l’Europa di scrivere gli articoli che vorrebbero leggere più spesso sui quotidiani. Uno sguardo sul mondo degli under 35 Incentivare e sussidiare un se
Molti segmenti di politica e Paese raccontano con una certa insistenza come il turismo sia uno dei migliori comparti sui quali puntare per il rilancio dell’economia nazionale, in grado di risolvere buona fetta dei problemi italiani. “L’Italia potrebbe vivere solo di turismo”: quante volte abbiamo sentito risuonare questa frase, nel dibattito pubblico o tra le stesse personali conversazioni della vita privata? Purtroppo, il vincolo di realtà mostra un quadro alquanto diverso. Al di là di sentito dire e convinzioni ideologiche, che fanno riemergere ciclicamente la presentazione del turismo quale risorsa e petrolio italiano, esistono dei limiti strutturali che non possono essere ignorati. Innanzitutto, il turismo è un settore ad alta intensità di manodopera e a basso valore aggiunto, dove regna una scarsa possibilità di innovazione. Il risultato è che in un’ora di lavoro oggi, gran parte delle persone impiegate nel campo non producono tanto più di quanto avrebbero prodotto decenni fa. Ciò che fa crescere, infatti, è il valore aggiunto per ora lavorata, che è il vero fattore che produce ricchezza: produrre più cose per tempo lavorato, questa è la crescita, qui risiede il benessere diffuso. Se c’è crescita cresce anche il turismo, ma non vale il contrario. La ragione per cui i proventi del settore turistico aumentano sta nel fatto che il reddito è cresciuto in altri settori; il risultato non ha però nulla a che fare con la produttività, ma solo con la possibilità dei singoli di permettersi di pagare di più per spese legate al turismo. Va capovolto il paradigma del comprendere: il turismo è infatti per definizione settore trainato e non trainante, essendo intrinsecamente a bassa crescita. Non può fungere da pilastro, è effetto e conseguenza, e ciò lo si coglie dall’analisi dei tassi di crescita e dalle evidenze mostrate. Esso resta comunque molto rilevante, ma ciò non giustifica l’incessante richiesta di investimenti - nelle vesti troppo frequenti di sussidi - che proviene da molteplici voci. Puntare ossessivamente sul mito del turismo è sbagliato: lo stesso “volano”, il moltiplicatore interindustriale del turismo è basso, a differenza ad esempio di quello del manifatturiero. D’altra parte, incentivare e sussidiare un settore affinché cresca mostra la sua improduttività, ne è cioè prova provata: se c’è efficienza (e produttività in crescita), c’è poca richiesta di incentivi. A livello internazionale, il settore cresce in dimensione, facendo parte di quei beni normali superiori (quali il tempo libero) il cui utilizzo cresce al crescere della ricchezza. Aumentare dal punto di vista quantitativo non significa però crescere in produttività, cioè non esiste l’automatismo per il quale sale anche lo stipendio del lavoratore medio del comparto. Tale questione va aldilà dell’Italia, abbracciando il piano sistemico turistico. Ciò detto, esistono problematiche specifiche tutte interne: la mancanza di concorrenza - si vedano le concessioni balneari - e le condizioni di monopolio implicano la fuga dell’offerta di lavoro qualificata all’estero, mentre il ricorso sistematico al sostegno pubblico fa da freno allo sviluppo settoriale (si pensi al legame con una misura come il reddito di cittadinanza, specialmente nelle regioni a più bassa produttività). Un altro tema, forse di natura culturale, è che il turismo serve nella misura in cui consente di valorizzare il territorio. L’esatto contrario di quanto avviene in moltissime aree del Paese, dove ci si limita piuttosto a “consumarle” a fini turistici. In questo senso, la leva culturale risulta particolarmente rilevante: anche l’aumento della produttività si persegue, inizialmente e primariamente, con modifiche su questo piano. Per concludere, il turismo è un effetto, una conseguenza del buon stato di salute e della crescita di una economia funzionante. Allo stesso modo il sistema dei principi su cui fondare le politiche non è scelto dall’analisi economica, ma spetta ai decisori, pubblici e privati, che hanno dunque la più alta responsabilità.