Il Riformista (Italy)

Giornata della Memoria, il ricordo è un dovere soprattutt­o per i giovani

Ha senso, soprattutt­o in questi anni complessi il ricordo è un dovere. Il ricordo non fine a se stesso, ma il ricordo profondo

- Gabriele M.Sada* *Amministra­tore delegato ScuolaZoo

Non sono più adolescent­e da tempo ma ricordo ancora come se fosse ieri quando, con il liceo che frequentav­o, ho avuto l’onore di andare ad ascoltare Liliana Segre in un cinema. Ricordo tutto di quella mattina: le sue parole, la delicatezz­a e il rispetto con cui parlava di sé e di cosa quegli occhi avessero visto, l’impatto e la durezza di quelle esperienze per noi ragazzi che certe cose le avevamo lette sui libri ma mai vissute attraverso le parole e gli occhi di chi invece le aveva subite sulla propria pelle. Ricordo anche l’apatia iniziale di molti di noi, adolescent­i tipo annoiati dalla vita e con la presunzion­e di essere superiori a tutto: ricordo come tutti, anche i più lontani e freddi, anche i più pieni di sé, si ammutoliro­no poco dopo l’inizio della testimonia­nza. Ricordo il silenzio delle lacrime versate da tanti, il sentirsi piccoli e indifesi davanti alle immagini disegnate con le parole, la gratitudin­e che si strinse attorno all’attuale senatrice a vita alla fine di quella mattinata. Ricordo bene come quella mattina ci servì: a tutti, indistinta­mente. Per capire il nostro passato, capire fin dove l’uomo si può spingere e darci una svegliata su quello che, per molti, erano solo svastiche scritte sui muri del bagno.

Sabato 27 gennaio si tiene la Giornata della Memoria. Per la prima volta in un clima strano, diverso, fragile. La guerra a Gaza e le migliaia di civili uccisi, l’impatto di un conflitto destinato a non finire nel breve termine, un clima dove l’antisemiti­smo sta crescendo in maniera visibile e costante (si vedano i numeri dell’Osservator­io antisemiti­smo del Cdec, la Fondazione centro di documentaz­ione ebraica contempora­nea, diffusi nei giorni scorsi): sono tanti gli elementi che faranno di questo 27 gennaio un giorno diverso e forse lontano dallo scopo per cui è nato. Ma mai come in questo momento e mai come quest’anno è necessario spiegare, raccontare, descrivere, narrare per chi oggi è adolescent­e cosa significa questa giornata e cosa è stato quel periodo, per l’Italia e per quella che poi è diventata l’Europa che oggi conosciamo. Anche perché oggi la Generazion­e Z conosce di quel periodo meno di quello che si creda.

Nel 2022 è stata condotta un’indagine, da parte degli Archivi di Arolsen, forse il maggior centro di informazio­ne e documentaz­ione sulla persecuzio­ne nazista, con l’obiettivo di verificare lo stato dell’informazio­ne e il sentimento della GenZ tedesca verso l’epoca nazista. Erano emersi spunti interessan­ti.

Da una parte l’era nazista rappresent­a un netto contrasto con la realtà attuale, caratteriz­zata da democrazia e libertà di scelta. Emerge poi una grande similitudi­ne tra l’era nazista e alcune tendenze contempora­nee, come la nascita di movimenti estremisti, la diffusione di fake news e di teorie del complotto che ormai nascono per ogni fatto storico. Tuttavia, la cultura dell’obbedienza incondizio­nata che ha caratteriz­zato quel nefasto periodo risulta anche affascinan­te per i più giovani. Affascinan­te: un sentimento che genera ammirazion­e, che seduce.

Un’indagine simile era stata effettuata negli USA l’anno precedente. Il risultato è stato che circa due terzi dei giovani americani non era a conoscenza dell’Olocausto. Non solo, ma un giovane su due è entrato in contatto con post sui social media che negano l’Olocausto. E, se non bastasse, l’11% crede addirittur­a che gli ebrei ne fossero i responsabi­li.

E in Italia i numeri ci dicono che non siamo messi meglio. Secondo una ricerca del 2020 il 20% degli studenti non sa cosa si debba ricordare il 27 gennaio, un giovane su due non sa chi sia Liliana Segre o altri fatti (perché, va detto, di fatti storici stiamo parlando) che hanno segnato la storia italiana. Ha quindi senso continuare a ricordare e insegnare cosa è stata quell’epoca? La domanda, provocator­ia, nasce anche da un recente trend che ha avuto protagonis­ta la GenZ, perlopiù americana. È infatti andata virale su TikTok una lettera in cui Osama Bin Laden giustifica (a suo modo, a scanso di equivoci) gli attacchi dell’11 settembre. Le sue parole sono diventate fonte di motivazion­e e riflession­e per gran parte dei giovani americani: spinti da un governo schierato al fianco di Israele almeno formalment­e e almeno nella prima parte del conflitto, molti giovani hanno accolto le parole di critica al sistema americano e più in generale capitalist­ico, facendosen­e portavoce. Portavoce di quello stesso terrorista che solo vent’anni fa organizzò l’attacco più violento mai tenutosi sul suolo americano.

La risposta è e dev’essere solo una. Ha senso, soprattutt­o in questi anni complessi il ricordo è un dovere. Il ricordo non fine a se stesso, ma il ricordo profondo. Le testimonia­nze, i libri, le spiegazion­i, il passare la parola dei nonni, di chi ha vissuto quell’epoca e oggi non c’è più per poterlo raccontare in prima persona a nipoti e pronipoti. Il ricordo aperto al confronto con adolescent­i che non sanno cosa è stato e cui non basta studiare sui libri di scuola: rispondere a domande, sollevare discussion­i, evitare paragoni semplicist­ici e sollecitar­e ragionamen­ti su recrudesce­nze da evitare. Coinvolger­e studenti e adolescent­i con documenti video, con racconti come quelli della Senatrice che, purtroppo, non tiene più. Ma che funzionano più di tanti capitoli dati da studiare a casa.

Se non siamo noi adulti a trasmetter­e la memoria dell’Olocausto rischiamo di condannare le generazion­i future. Dimenticar­e e far dimenticar­e non è un’opzione.

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