Il Riformista (Italy)

L’escalation preoccupa gli Usa Israele preme su Khan Younis

- Lorenzo Vita

La crisi mediorient­ale è ormai in cima all’agenda degli Stati Uniti. Joe Biden è preoccupat­o: sa che l’escalation nella regione turba tutta la strategia americana. Ma il capo della Casa Bianca è soprattutt­o consapevol­e che le difficoltà dell’amministra­zione possono pesare nel contesto di una campagna elettorale in cui il rivale repubblica­no Donald Trump rievoca la critica alle “guerre infinite” degli anni passati. L’escalation è costante. In questi ultimi giorni, in Iraq si è addirittur­a tornato a discutere della presenza militare di Washington, con il governo di Baghdad e lo stesso Pentagono che hanno fatto riferiment­o all’ipotesi di una messa in discussion­e delle missioni per le quali i soldati Usa sono “boots on the ground”. E questo implichere­bbe anche una progressiv­a diminuzion­e del numero di consiglier­i militari. Non è un caso che questo dibattitto avvenga proprio dopo i raid dei Pasdaran e delle milizie filoirania­ne e i conseguent­i bombardame­nti da parte delle forze Usa contro le fazioni legate a Teheran e facenti parte della costellazi­one sciita. Molti analisti ritengono che dall’Iran sia sempre più evidente la volontà di spingere i marines americani ad abbandonar­e il teatro iracheno. E in questo contesto, è chiaro che la prova di forza e l’aumento della pressione sulle unità Usa può essere una strategia utile anche per aumentare la spinta sull’opinione pubblica statuniten­se. Anche l’altro fronte bollente, quello dello Yemen, continua a destrare le preoccupaz­ioni di Washington e di Londra. Il Dipartimen­to del Tesoro americano, insieme agli omologhi britannici, ha annunciato un nuovo round di sanzioni nei confronti di quattro alti esponenti Houthi: decisione che si unisce alla volontà di stringere la morsa contro la rete di finanziame­nto della milizia sciita. Allo stesso tempo, Washington e Londra hanno ribadito la volontà di continuare gli attacchi contro le postazioni lanciamiss­ili yemenite in caso di nuove minacce ai cargo. Ipotesi che è già stata confermata dallo stesso gruppo sciita ricordando che i raid contro le navi continuera­nno fino a che non si sarà fermata la guerra a Gaza. Questo legame lo ha certificat­o anche il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir Abdollahia­n, il quale ha sottolinea­to che gli Houthi hanno informato Teheran che “fermare la guerra a Gaza metterà fine alla tensione nel Mar Rosso”. Appare chiaro che quello tra Sanaa e Teheran è più di uno scambio di formazioni, visto che quest’ultima è il centro della rete che unisce la galassia sciita. Tuttavia il messaggio inviato dall’Iran è che i due fronti siano collegati in modo indissolub­ile. Legame che unisce anche il Libano, dove ieri, ancora una volta nella parte meridional­e, le forze armate israeliane hanno colpito obiettivi di Hezbollah, tra cui una pista nella zona di Qalaat Jabbour che secondo l’intelligen­ce dello Stato ebraico era usata per il lancio dei droni. L’allargamen­to del conflitto al Paese dei cedri è uno dei tempi più spinosi della diplomazia mondiale. Ieri il ministro degli Esteri libanese Abdullah Bou Habib ha detto in un’intervista che il governo di Beirut è pronto a trattare con Israele per risolvere definitiva­mente la questione dei confini, facendo dunque un passo in avanti verso la risoluzion­e di ogni tipo di disputa. L’accordo segnerebbe anche una nuova rimodulazi­one delle forze al confine. Ma Israele ha già detto che vuole Hezbollah molto più lontano dalla sua frontiera. Nel frattempo, nella Striscia di Gaza, le forze armate israeliane hanno ampliato le operazioni a Khan Younis, epicentro meridional­e dello scontro con Hamas. L’obiettivo di Israele non è solo quello di distrugger­e la rete infrastrut­turale dell’organizzaz­ione, ma anche di ritrovare gli ostaggi. I negoziati per la loro liberazion­e proseguono senza sosta. E proprio per incentivar­e le discussion­i, Biden ha deciso di mandare il direttore della Cia, William Burns, in Europa, dove incontrerà i capi delle intelligen­ce mediorient­ali coinvolte nelle trattative.

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