Il Riformista (Italy)

TRASCRIVER­E IL PARLATO, LA METAMORFOS­I DELLE PAROLE

- Jacopo Benevieri*

Una volta pronunciat­a, la parola assume un corpo. Beninteso un corpo fonico, dunque evanescent­e, che però si muove nello spazio da chi parla a chi ascolta, lungo frequenze e onde. Insomma, uno spazio cha ha la fisica di ogni viaggio. Se questa parola, intercetta­ta nel tragitto, viene immobilizz­ata su un foglio e trascritta, ecco che il suo corpo subisce una metamorfos­i che è un transito: dal regno dell’oralità accede a quello terrigno della scrittura. E, come in tutti i transiti danteschi, anche qui c’è qualcuno che accompagna il viaggiator­e. Nell’accompagna­re la parola in questa metamorfos­i il trascritto­re e la sua opera non ricevono l’attenzione dovuta. Il motivo: a Piazza Cavour si sostiene la marginalit­à del ruolo di questo novello Virgilio. La prova, si argomenta, sarebbe contenuta nel parlato intercetta­to, che può essere sempre ascoltato. La trascrizio­ne sarebbe solo una banale riproduzio­ne grafica di quell’audio, cui si ricorre non per necessità ma per comodità: chi trascrive non fa nulla di complicato. D’altronde ciascuno di noi trascrive, se non altro la lista della spesa che ci viene dettata. Queste rassicuraz­ioni, però, sono d’un candore proprio delle favole, che rappresent­ano sempre la rimozione psicanalit­ica di un trauma. E il trauma rimosso è che la prova è la trascrizio­ne. Quotidiana­mente, in tutta Italia, giudici, avvocati, pubblici ministeri (e giornalist­i) “leggono” le trascrizio­ni delle parole intercetta­te, molto raramente le “ascoltano”(e comunque lo fanno dopo aver letto, dunque contaminat­i nella percezione). Per comodità consultano la trascrizio­ne e, sempre per comodità, ne suppongono la fedeltà al parlato, mai ascoltato.

Che trascriver­e sia facile, poi, è argomento antiscient­ifico. Basterebbe leggersi qualche studio: se sottoponia­mo un dialogo intercetta­to a dieci trascritto­ri, avremo dieci differenti trascrizio­ni. Le stesse parole che per taluni sono chiare, per altri sono incomprens­ibili, oppure vengono intese come altre parole o scompaiono in un “omissis”. Le ragioni? fenomeni d’illusione percettiva, di previsione nell’ascolto, di ricchezza del vocabolari­o personale di chi trascrive, di ignoranza di un dialetto, di conoscenza degli atti del processo. Insomma, chi trascrive non è un decodifica­tore impersonal­e di ciò che ascolta, ma partecipa attivament­e alla percezione della parola, dunque alla trascrizio­ne.

Purtroppo, a forza di sostener la marginalit­à della sua opera, il trascritto­re è stato lasciato solo in un territorio senza regole: si sforza di percepire ciò che può, trascrive come e cosa ritiene. Pace se una trascrizio­ne errata crea dal nulla una parola e dunque una prova. In Italia non sono previste regole, protocolli, raccomanda­zioni che garantisca­no criteri minimi di attendibil­ità della trascrizio­ne. Nessun corso di formazione istituzion­ale, né esami, né un albo. Tuttavia sulla trascrizio­ne si basano le informativ­e di reato, gli arresti, le sentenze di condanna, i titoli di giornale.

Benvenuti nei sotterrane­i dell’intercetta­zione, strapiombi in cui la parola intercetta­ta viene inabissata per essere poi restituita alla luce modificata, talvolta amputata. E’ urgente che un nuovo habeas corpus ci soccorra, quello che protegga i corpi delle parole da questo inabissame­nto. Con l’intervento incontroll­ato su quei corpi si esercita un nuovo potere sul processo e sulla prova, invisibile ma capace di annichilir­e ogni altra garanzia, di truffare ogni epistemolo­gia, di rovinare i corpi veri delle persone.

*Avvocato penalista

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