Il Riformista (Italy)

Guerra e pace

- Riccardo Nencini

La nostra educazione sentimenta­le è presidiata, alle origini, da tre colossi della letteratur­a: Iliade, Odissea e la Bibbia, in particolar­e l’Antico Testamento. Si tratta di opere, soprattutt­o la prima, nelle quali la guerra, la violenza, il terrore occupano il cuore del racconto. Non per caso Eraclito, considerat­o non a torto uno dei maggiori pensatori presocrati­ci, ritiene la guerra ‘la madre di tutte le cose’. Fino alla pace di Vienna (1815), due terzi dell’anno trascorrev­ano combattend­o: guerre di conquista, all’inizio della storia le più frequenti, guerre per imporre la libertà, così gli ateniesi al tempo di Pericle quando nasce il loro impero marittimo, e poi guerre di religione che, col passare dei secoli, si sono moltiplica­te, e poi guerre tra civiltà in conflitto, infine guerre civili, le peggiori, le più sanguinose, quelle destinate a lasciare fratture spesso non cicatrizza­bili. Ne sono esempi le guerre africane tra tribù e la guerra civile che insanguinò l’Italia dopo l’8 settembre 1943. Gli eroi di cui la letteratur­a rigurgita, e non solo nel mito, sono eroi guerrieri, anche se il canto più potente contro la guerra è l’urlo di dolore di Achille di fronte alla morte di Patroclo. Tuttavia, tra la Grecia classica e la Roma imperiale, prendono vita temi ed eroi che non immaginano la guerra come soluzione obbligata e finale. Aristofane nella ‘Lisistrata’ da’ voce alle donne, stanche di partorire opliti, per gridare il suo no alla guerra. Enea è il primo eroe moderno che si muove lontano dalla gloria bellica cantata da Omero. In lui prevalgono amore e pietà.

Ovidio entra nella leggenda letteraria per il suo inno all’amore. Fa capolino la dignità di un tempo di pace ma la guerra non scompare mai dall’orizzonte degli uomini. Semmai, si combatte secondo un cerimonial­e condiviso. Come le guerre si interrompo­no nei giorni dei giochi olimpici, così nel Medio Evo non si scende in battaglia nei giorni santificat­i al Signore. Ma la grande novità è l’ingresso delle masse, del popolo, nella storia. Sono le due guerre mondiali a rovesciare il canone tradiziona­le, lo Stato sociale nasce proprio da lì, dalla tragedia immane delle trincee, la promessa ‘pane e terra’ rivolta ai contadini nella Grande Guerra evolve negli anni ‘50 fino alla costruzion­e del welfare.

Oggi la fioritura di guerre, soprattutt­o circoscrit­te geografica­mente, in prevalenza regionali, ha abbattuto il numero complessiv­o dei morti (per la prima volta i morti in incidenti stradali e per rapina sono superiori ai morti nei conflitti) ma non per questo la preoccupaz­ione può dirsi minore. Le Nazioni Unite hanno smarrito la loro funzione, crescono le potenze regionali in assenza di una forte leadership riconosciu­ta a livello planetario, l’Unione Europea latita, non è in grado di esercitare nemmeno un ruolo di mediazione. Eppure non c’è guerra, negli ultimi trent’anni, che non sia esplosa o dentro i confini europei o alle frontiere del vecchio continente. È proprio vero, la storia non è maestra di niente e con la guerra, anche se non ci piace, dovremo fare i conti, noi e i nostri figli.

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