Parabola di Pizzarotti Ex grillino, ex civico non lascia altro che il pizzarottismo
Dopo aver fatto tintinnare le manette in piazza si scopre garantista Dopo aver applaudito il referendum No euro si scopre europeista Come un voltagabbana doc di quelli cantati da Flaiano e Longanesi
Della categoria dei voltagabbana hanno scritto Ennio Flaiano e Leo Longanesi. Più recentemente, Bruno Vespa con un documentato volume e il più prosaico Andrea Scanzi. Quest’ultimo si è dedicato in particolare a uno di loro, Federico Pizzarotti, di cui in questi giorni si torna a parlare. Io Pizzarotti me lo ricordo proprio al tempo delle manifestazioni che lo hanno portato a vincere le elezioni a Parma, dove si è insediato come sindaco dal 2012 al 2022. Farne un ritratto è complesso: ne verrebbe fuori un’opera cubista, destrutturata in troppi risvolti. Perché Pizzarotti, 50 anni l’ottobre scorso, ha indossato dal 2012 tutte le casacche possibili. Affermato tutto e il contrario di tutto. Eravamo nel giugno 2011 quando una azione congiunta della magistratura e della piazza – animosamente animata dal tridente Popolo Viola, Insurgent Parma e Movimento Cinque Stelle – rovesciava la giunta del sindaco Pietro Vignali. Gli avvisi di garanzia, l’arresto di dirigenti e la messa in fuga di assessori e consiglieri riecheggiavano e s’ingigantivano con l’effetto moltiplicatore del tam tam nevrotico e esacerbante della provincia. Una tempesta in un bicchier d’acqua, si capirà poi. Peraltro acqua di palude, salmastra. Perché lo stesso Procuratore capo che travolse la giunta civica e centrista di Vignali – prima in classifica secondo Il Sole24 Ore per più categorie nella graduatoria annuale della qualità della vita – poi finirà per candidarsi alle elezioni comunali con il fronte opposto a quello che aveva sostenuto Vignali. La Tangentopoli parmigiana ha partorito qualche topolino – alcuni patteggiamenti, quasi nessuna condanna – e trascinato nel fango una intera classe dirigente tra le più apprezzate per i risultati concreti. La piazza che ha poi spianato la strada a Pizzarotti era colorita ma anche funerea. In quella piazza sono comparsi i sassi e le monetine, come al Raphael. Ed è comparsa una bara di cartone che simboleggiava, in un funeral party che ha percorso, di spalla in spalla, le vie cittadine, la deposizione tombale del sindaco Vignali. In quel contesto ha iniziato a farsi largo Federico Pizzarotti. Sulla scia delle proteste di manifestazioni quotidiane, continue, autoconvocate e sempre più rumorose e violente. L’assedio di Piazza Garibaldi dura a lungo, la Questura schiera cinquanta agenti in tenuta antisommossa per giorni, a difendere la sede del Comune. Il M5S cresce, la visibilità è assicurata. E ad avere la meglio è chi grida di più. A un certo punto la leadership di Pizzarotti – acerrimo nemico del «mostro dell’inceneritore» - si afferma sugli sfidanti interni, si capisce che sarà lui a incarnare la rivincita della «pancia». Invita a Parma i big del Movimento. Arrivano a più riprese Beppe Grillo, Giggino Di Maio, Alessandro
Di Battista. Si fanno cortei, sit-in, flash mob. È l’aprile 2012 quando sul palco ci sono Pizzarotti e Grillo, immortalati dai fotografi e dagli operatori in un abbraccio continuo. A maggio Pizzarotti viene eletto – è il primo grillino a espugnare un capoluogo di provincia importante in Italia – con un programma incentrato sul neutralizzare il termovalorizzatore. A settembre 2012, nuovo palco per Grillo e Pizzarotti nella città emiliana. «Dies Iren», viene chiamata la manifestazione, perché Iren va osteggiata nella ultimazione dell’opera. Insieme all’allergia per gli investimenti in infrastrutture, è l’euroscetticismo l’altra cifra del Movimento. «Non voglio uscire dall’euro ma voglio un referendum perché a deciderlo siano gli italiani», grida al microfono Beppe Grillo. A mezzo metro da lui, Pizzarotti che si sbraccia negli applausi. Passa qualche tempo e l’idillio con il Fondatore dei 5 Stelle si esaurisce. Anche perché il grande fustigatore degli indagati, è un classico, finisce indagato. Gli vengono contestate nomine al Teatro Regio (poi archiviate). Grillo lo liquida. «Esco dal Movimento da uomo libero», dice Pizzarotti. «Ciao, goditi i tuoi 15 minuti di celebrità», lo congeda l’altro. L’uomo è talmente libero da andare ad abbracciare Iren, benedire il termovalorizzatore che aveva contestato, inaugurarlo con grandi celebrazioni e perfino farsi poi finanziare da Iren – come sponsor pubblico – una serie di eventi comunali, tra cui una indimenticabile performance di Fedez in quella piazza Garibaldi che era stata dei suoi giacobini più modesti, prima che lui ci portasse gli influencer più potenti. E se la campagna del sindaco l’aveva fatta a spese del Pd e della vituperata sinistra emiliana, ecco che Pizzarotti ha un’altra fulminazione. Dialoga con Stefano Bonaccini, diventa interlocutore di Pierluigi Bersani che da Piacenza si fa vedere a Parma sempre più spesso. Un percorso di annusamento dem al culmine del quale fonda Italia in Comune, che si propone come «Partito dei sindaci» e poi diventa Lista Civica Nazionale per testarsi sulle regionali in Sardegna (2,5%) e in Abruzzo (3,8%) senza ottenere i risultati auspicati. Non va meglio quando Pizzarotti fa un’ennesima giravolta e, dopo aver cavalcato al meglio la fase M5S e bypassata l’onda del Pd, si scopre improvvisamente radicale, segretamente pannelliano. Si avvicinano le Europee 2019. E lui si fa candidare da Più Europa come capolista nel Nord Est. Nessuno gli ricorda le intemerate euroscettiche di pochi anni prima, forse perché nessuno nota quella sua campagna. Ottiene nella sua Parma circa 3mila preferenze, a fronte di 7mila voti di lista. Da sindaco in carica, un risultato davvero scarso. Lascerà l’incarico di sindaco dopo dieci anni senza aver realizzato una sola delle roboanti e minacciose idee con le quali si era preso il voto dei grillini. Non troppo scoraggiato dall’esito delle europee, nel 2022 si fa nominare - con il gruppo Italia C’è di Piercamillo Falasca – addirittura Presidente di Più Europa, suscitando gli strali più acuminati di Scanzi. «Pizzarotti è scaltro e furbo», lo definisce chi lo aveva visto nascere nella pancia più truce del grillismo. «Ma qui siamo davanti a uno dei trasformismi più tristi, caricaturali, patetici e imbarazzanti a livello politico. Fatta da una persona intelligente come Pizzarotti». Ecco che chi faceva tintinnare le manette – in piazza contro Vignali – si scopre garantista; chi applaudiva il referendum per mettere in discussione l’euro si scopre europeista; chi voleva distruggere l’esperienza civica e centrista di Parma ora si pone alla testa di una idea civica e centrista per l’Europa. Una sorta di capovolgimento perfetto, di abiura assoluta, di reinvenzione completa. Da perfetto sughero, da voltagabbana doc di quelli cantati da Flaiano e Longanesi. E quasi di più, nell’epoca dell’immediatezza social e dell’amnesia di massa: forse l’inventore di un genere. Il pizzarottismo.