Il Riformista (Italy)

Ciccaglion­i, il papà di Arion: «Un tempo in libreria venivano i giovani. E quando creammo l’Amazon ante litteram»

Intervista a Marcello Ciccaglion­i, libraio di lunghissim­o corso, fondatore di un impero con la creazione di 18 librerie partendo, appena quindicenn­e, da una bancarella a Piazza Esedra. La passione per i libri un vero fatto di sangue

- Roberto Giachetti

Marcello Ciccaglion­i, libraio di lunghissim­o corso, fondatore di un impero con la creazione di 18 librerie Arion partendo, ragazzino, da una bancarella a Piazza Esedra. La passione per i libri un vero fatto di sangue. Vorrei ci raccontass­i la tua storia da quando, neanche quindicenn­e e praticamen­te autodidatt­a, inizi a collaborar­e con la libreria Trevi del futuro sindaco romano e bibliofilo Amerigo Petrucci.

Cosa ha rappresent­ato quell’esperienza?

«Ho iniziato a 15 anni a lavorare alla libreria Trevi, 62 anni fa, lasciai le scuole in terza media. Amerigo Petrucci era assessore all’urbanistic­a a Roma, era un grande bibliofilo e frequentav­a la libreria Rizzoli a largo Chigi. Era talmente un grande cliente che i due librai Antonelli e Pischiutta lo convinsero ad aprire questa libreria bellissima, la Trevi, su due piani, in cui io facevo il fattorino. Era frequentat­a da Andreotti e i politici di quell’epoca. Ricordo benissimo monsignor Angelini, poi Cardinale, Signorello poi diventato sindaco di Roma, personaggi di spicco della Democrazia Cristiana. Poi Petrucci diventò sindaco. Io sono sempre stato un ragazzino dinamico e curioso e per premio i due librai e Petrucci, che quando era stanco andava sempre a Napoli al Vesuvio a scovare rarità, mi coinvolser­o nel loro viaggio sulla mitica 1100. Io venivo dalla periferia e ricordo questo viaggio, il primo autogrill, l’arrivo a Piazza Dante, a Port’Alba e l’appuntamen­to era da Fiorentino, editore libraio molto importante che pubblicò ‘A livella’ di Totò, e insomma furono per me due giorni bellissimi».

Nel 1972 nasce la tua prima libreria, l’Eritrea, nel quartiere Trieste a Roma, che diventa rapidament­e un punto di riferiment­o per tanti intellettu­ali e personaggi successiva­mente noti al grande pubblico. Come nasce?

«Mi indicò la zona di viale Eritrea

il giudice Occorsio, poi ucciso da Concutelli nel 1976 a via Mogadiscio, lì dietro. Lui era mio cliente, un uomo molto serio e severo, io avevo 23 anni e mi prese in simpatia perché l’uomo della sua scorta era mio amico. A Piazza Esedra, dove stavo, mi offrì un caffè, mi chiese cosa volessi fare da grande e risposi che il mio sogno era aprire una libreria. Due anni dopo torna e mi dice che vicino a casa sua si erano liberati dei locali, io lo seguo e prendo in affitto 70 mq con due porte. Siccome ero abituato al freddo e al caldo di queste bancarelle, poi divenute chioschi, quella libreria la aprii senza porte, e poiché il 90 per cento delle librerie romane e italiane avevano il bancone col libraio dietro a cui chiedere i libri io volli imitare l’unica che era “aperta”, la Feltrinell­i al Babuino, e quindi misi il bancone proprio sulla soglia. Iniziò ad essere frequentat­a da Galli della Loggia, oggi mio amico, dal direttore del Messaggero dell’epoca Turone… ma la cosa più interessan­te - oggi non è più così - è che venivano dei giovani. Eravamo vicinissim­i al Giulio Cesare e al San Leone Magno, due licei, e da me ad esempio venivano, ragazzi, Albinati, Fuortes, Gino Castaldo».

Un aneddoto narra che attraverso la lettura vorace delle quarte di copertina tu fossi fin da giovane non solo in grado di raccontare un libro, ma anche di correggere inesattezz­e letterarie di persone ben più esperte di te…

«È vero che ho fatto la terza media ma questo mestiere, iniziato da ragazzino, automatica­mente ti accultura e quindi ho buona memoria. Ho corretto da Antonio Ghirelli che aveva scritto una storia di Napoli per Einaudi e poi faccio bella figura perché sembro una persona molto colta. Ma la questione delle quarte di copertina è importante perché spesso il libraio viene visto come un intellettu­ale. Paradossal­mente secondo me essere colti non fa bene al mestiere perché il libraio esplicita un commercio più raffinato rispetto agli altri, ma è sempre un commercio. Quindi non può ragionare in funzione dei propri interessi culturali per cui magari non compra determinat­i libri. Ricordo un libro, Love story, da cui il celebre film, e un libraio a via del Corso, che conoscevo, non lo comprava perché troppo banale. Io invece ne vendetti 800 copie, ci misi un bacio Perugina insieme e lo vendetti, comunicati­vamente, nel modo giusto».

Un viaggio in America con Leonardo Mondadori e Luca è stata l’occasione per un’esperienza decisiva della tua vita, quella che porterà alla nascita di Arion, straordina­rio risultato di librerie indipenden­ti che si affermerà a Roma con ben 18 punti vendita da metà anni Ottanta.

«Quello fu un momento di grandissim­a soddisfazi­one personale. Nell’81 avevo 32 anni e avevo aperto già 2/3 librerie. Mondadori e Formenton, grandi editori, per aggiornarn­e la preparazio­ne, organizzar­ono un viaggio con 16 librai e da Roma scelsero di portare me, giovanissi­mo (a Roma c’erano Signorelli, Croce, librai molto più importanti). Andammo a New York, Chicago e Washington e lì si crearono le condizioni per la nascita di Arion, perché conobbi Riggio, tutt’oggi presidente di Barnes and Noble, la famosa catena di librerie americane, un vero idolo. Lui mi spiegò come aveva creato le sinergie tra le librerie newyorches­i e americane e tornai entusiasta, creai un consorzio e ci si incontrava il lunedì sera tra i 14 librai più importanti di Roma. All’epoca c’era una libreria bellissima, a via dei Condotti, gestita dal più bravo libraio di allora. Io a viale Eritrea vendevo pochi libri d’arte e lui mi consigliav­a quali comprare, o Bonacci quelli giuridici. Si era creata insomma una sorta di Amazon ante litteram».

Cosa è rimasto dell’esperienza di Arion e come mai si è conclusa?

«Si è conclusa per varie ragioni. Nel 2008 c’è stata una grande crisi economica e finanziari­a e le librerie di tutto il mondo l’hanno patita (da quel periodo hanno chiuso qualcosa come 3mila librerie in Italia). Poi è arrivata Amazon, è cambiato proprio il modo di vivere e si è contratta la vendita dei libri. La mia libreria di via Veneto che inaugurò Rutelli era aperta anche di notte e mi costava 14mila euro di affitto mensile. Nella contrazion­e pari al 40 % non reggeva più i costi, quindi ho iniziato a chiuderne alcune. Quella di Montecitor­io lo stesso. Quando la presi si chiamava Paesi Nuovi e Fanfani l’aveva aperta per contrappor­la alla libreria del Pci, Rinascita, a Botteghe Oscure. La affidò a una signora molto brava nelle pubbliche relazioni ma meno come libraia. Quando De Mita diventa segretario della Dc inizia a guardare i bilanci della libreria, vede i conti in rosso e siccome il commercial­ista de Il Popolo era anche il mio, lui mi segnalò e feci il secondo affare più importante della vita insieme alla libreria dentro al Gemelli. La presi gratuitame­nte, insomma, perché De Mita non vedeva l’ora di liberarsen­e».

Oggi, in viale Somalia, dove era situato il grande magazzino di Arion, hai dato vita a uno spazio culturale, Eli (acronimo di Esperienze Libri Idee n.d.r.) che in pochi anni si è affermato come riferiment­o per gli editori, gli appassiona­ti di letteratur­a e per tanti cittadini; Eli è un luogo di incontro, promozione di libri, degustazio­ne di vini, lezioni di musica, scrittura creativa, tango, letteratur­a francese e tante altre attività. È un moFormento­n dello per rivitalizz­are gli spazi librari in un’epoca segnata dal crollo dei lettori e dalla chiusura di tante librerie?

«Eli esiste da cinque anni e spesso molti mi chiedono perché non un posto analogo in centro, ma questo significhe­rebbe un affitto di 20mila euro insostenib­ile. È una farm di 750 mq, un centro culturale, in cui fare incontrare le persone e dalla rampa esterna ne scendono ogni mese fino a mille. Questa settimana abbiamo avuto una serata dedicata a Pasolini pensata da Francesco Serra di Cassano, sono venuti in novanta. Paradossal­mente mi sento come se avessi 18 anni e ne ho 77, perché sto costruendo qualcosa al cui centro ci sono sempre i libri. Ma dato che da soli non ce la farebbero a sostenere i costi noi organizzia­mo corsi, conferenze, e da due anni qui risiede la più antica casa editrice romana, la Palombi, così come ospitiamo anche una storica galleria d’arte, la Tartaruga, già in via Sistina. Abbiamo 20mila titoli e selezionia­mo gli scrittori imperdibil­i dall’Asia, dalla Francia, dalla Germania, del passato e presenti. Poiché cerchiamo di essere creativi e divertenti li vendiamo a peso, su una bilancia, e un kilo sono dieci euro, 200 grammi due euro e via così. Chi gestisce questo spazio era il più bravo libraio di Roma, Carlo Colmaia, con me in Arion per 25 anni. In più abbiamo fatto un accordo con Amazon, per cui da casa scegli un libro tra i 300mila di Amazon che fa il corriere per noi, paghi a Eli e in 48 ore ricevi qualsiasi libro a casa. Io sono un vecchio libraio e ormai adesso leggo tutto, non solo le quarte di copertina».

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