Il Riformista (Italy)

Intercetta­zioni, l'ingannevol­e dibattito

- Gian Domenico Caiazza

Intorno al tema -cruciale in una società civiledell­e intercetta­zioni di conversazi­oni private, il dibattito e la polemica hanno da tempo preso una piega ben lontana dalle reali criticità democratic­he di questo strumento investigat­ivo. Il tema della pubblicazi­one dei contenuti è certamente un tema sensibile e di grande rilevanza, ma non è il solo e nemmeno il principale. Prima di discutere se, come ed entro quali limiti vietarne la pubblicazi­one, sarebbe indispensa­bile informare la pubblica opinione delle norme che regolano la potestà dello Stato di intercetta­re i cittadini. Si scoprirebb­e ad esempio che, se si indaga per la ipotesi di associazio­ne mafiosa e reati asseritame­nte connessi, il potere di intercetta­zione, anche a mezzo trojan, è pressoché indiscrimi­nato e -nei fatti- rimesso interament­e alla valutazion­e discrezion­ale dell'organo dell'Accusa. E si apprendere­bbe che l'attuale Governo si è assunto la responsabi­lità politica di estendere ulteriorme­nte tale potere indiscrimi­nato anche alle ipotesi in cui non si indaga su una associazio­ne mafiosa, ma solo su reati comuni in ipotesi posti in essere “con modalità mafiose”. Si tratta di una estensione poderosa del potere delle Procure di ascoltarci, posta la sfuggente e multiforme nozione di “modalità mafiosa” che il PM potrà comodament­e ed unilateral­mente ipotizzare in fase di indagine. Ed invece, a leggere la stampa, questo sembrerebb­e un governo impegnato a fortemente restringer­e l'uso giudiziari­o delle intercetta­zioni, oltre che a mettere “bavagli” alla stampa che voglia metterci il naso. Questa bolla del dibattito -ripeto, pur rilevanted­ella ricaduta mediatica delle intercetta­zioni ha del tutto distolto l'attenzione da ciò che il cittadino può doversi attendere dal potere dello Stato di intromette­rsi nelle sue private conversazi­oni, finendo paradossal­mente per attribuire patenti di rigoroso riequilibr­io liberale alle scelte di un governo che ne ha appena decretato il più micidiale potenziame­nto mai deliberato nella storia della Repubblica. D'altronde, questa assorbente centralità del dibattito sulla pubblicazi­one delle intercetta­zioni ha già prodotto danni irreparabi­li con la riforma Orlando del 2017 che, sull'odioso e falso presuppost­o che i responsabi­li principali fossero gli avvocati, ha di fatto sottratto ad essi (e quindi ai cittadini che essi assistono), il diritto di conoscere in modo completo il contenuto del materiale intercetta­to. La Polizia, per conto del PM, ascolta per mesi e seleziona ciò che ritiene “rilevante”, e di questo il difensore può avere copia. Tutto il resto (mesi e mesi di intercetta­zioni che PM e polizia giudicano, ovviamente nell'ottica accusatori­a, “irrilevant­i”) non potrà essere dato in copia alla difesa. Gli avvocati potranno solo arrangiars­i ad ascoltare quel materiale immenso, alla impossibil­e ricerca di prove contrarie all'accusa, in un ufficio aperto poche ore al giorno, prendendo appunti.

Viva la riservatez­za, morte al diritto di difesa.

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